Disoccupati della domenica? I numeri a caso e la legge-negozi
LAVORO La proposta lanciata dai 5 Stelle
L’aumento del 6% dei posti dopo la liberalizzazione è fatto da precari: infatti solo in Italia gli orari sono così flessibili
Il ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, ha rilanciato il dibattito sulla chiusura o meno dei negozi alla domenica. Una iniziativa che, nelle intenzioni del leader M5S serve a ridare dignità al lavoro e a permettere ai dipendenti di passare più tempo in famiglia. Una posizione sostenuta da quasi tutto il sindacato e da molta parte dello schieramento politico, ma avversata dalle grandi catene della distribuzione, da quasi tutto il Pd, da Forza Italia e, sembra, da gran parte della Lega, che cerca una mediazione. Mediazione che è lo stesso Di Maio ad aver avanzato ieri proponendo una soluzione “a turni”, con negozi, o supermercati, aperti in modo tale da garantire almeno il 25% dell’offerta ai consumatori, mentre il restante 75% dovrebbe rimanere chiuso con sollievo per i dipendenti.
Lavoro volontario?
Gli orari di lavoro non garantiscono la volontarietà del lavoro domenicale. Secondo il decreto legislativo 66 del 2003, che applicava una direttiva europea, infatti, “il lavoratore ha diritto ogni sette giorni a un periodo di riposo di almeno 24 ore consecutive, di regola in coincidenza con la domenica”. Di regola non significa obbligatoriamente e quindi la materia rientra nella contrattazione tra le parti, al livello aziendale o di settore.
Gli accordi
I contratti di settore o integrativi che disciplinano la materia prevedono quasi tutti questa eventualità. Una delle catene di supermercati più nota, la Esselunga, ad esempio, ha previsto nel contratto integrativo, siglato lo scorso maggio, cinque domeniche non lavorabili nel corso dell’anno per i lavoratori il cui contratto prevede la domenica lavorativa. In cambio l’accordo prevede una maggiorazione retributiva del 30% per chi lavora fino a 24 domeniche, percentuale che sale al 40% per chi supera le 37 domeniche l’anno.
Posti di lavoro a rischio
Secondo il Pd, contrario alla proposta, si rischiano fino a 30 mila posti di lavoro, secondo l’ad di Conad si arriverebbe a 50 mila. Secondo Federdistribuzione, l’a s s ociazione della grande distribuzione (300 mila addetti), i posti di lavoro che sarebbero stati creati dalla liberaliz- zazione degli orari – voluta dal decreto Italia del governo Monti nel 2012 – sarebbero stati, dall’introduzione della misura, circa 16.000. Quindi meno della metà di quanto sarebbe oggi l’eventuale perdita. La Confesercenti, associazione dei commercianti, calcola che con la
de re gu la ti on l’o cc up az io ne è fortemente diminuita con la perdita di 108 mila posti di lavoro, comprendendo i piccoli negozianti. Infine, la Filcams Cgil sostiene che la maggior parte dei posti di lavoro creati nella Grande distribuzione, cresciuta tra il 2013 e il 2016 del 6%, sono precari.
Italia unica in Europa
Una tabella di Confcommercio mostra invece che per quanto riguarda la liberalizzazione degli orari domenicali, l’Italia è praticamente unica in Europa. Non si lavora la domenica in Germania a eccezione di alcuni particolari tipologie, come le panetterie, né in Francia dove solo i negozi alimentari sono aperti fino alle 13. Tutto chiuso in Olanda e in Spagna, dove si applicano delle deroghe a carattere regionale.
Nella liberale Gran Bretagna solo la Scozia non ha alcuna restrizione, mentre in Inghilterra per la grande distribuzione sono concesse 5 ore di apertura tra le 10 e le 18.
Ricavi e profitti
Secondo la ricerca di Mediobanca del 2016, il fatturato aggregato dei maggiori operatori è aumentato nel 2016 del 2,5%, passando da 56,7 a 58,1 miliardi. “Ma il record di crescita spetta ai discount: Lidl Italia (+ 8%) ed Eurospin Italia (+ 6,8%) distanziando Esselunga (+ 4,4%). Margini negativi per Carrefour (- 0,5%), le Coop (- 0,9%) e AuchanSMA (- 3,7%).
L’e commerce
Sempre secondo la ricerca Mediobanca, il grosso dell’ecommerce, che secondo gli oppositori di Di Maio sarebbe avvantaggiato dalla chiusura domenicale, passa proprio per le strutture della Gdo. “L’ecommerce food in Italia nel 2016 è cresciuto del 35% rispetto al 2015 raggiungendo un valore di 593 milioni di euro ed è previsto che oltrepassi gli 800 milioni nel 2017”. Ma, scrive la ricerca, “in tale segmento, i principali operatori tradizionali della Gdo ricoprono un ruolo preponderante e in continua evoluzione con lo sviluppo di nuovi servizi al consumatore”.
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