La sfida a mafie e gang: i bambini via dalla famiglia
In trasferta Il Csm a Napoli per proporre nuove regole, compresa la perdita della potestà genitoriale per gli esponenti dei clan
Norme che rendano più semplici gli arresti per i minorenni accusati di fatti gravi, oggi impossibili in flagranza di reato persino per il porto di un’arma comune e per le lesioni gravi. Una valutazione dell’incisività della misura dell’allontanamento del minore dalla famiglia mafiosa. La lotta alla dispersione scolastica come precondizione di legalità, tramite rilevazioni più accurate e tempestive.
NE DISCUTE oggi il plenum del Consiglio Superiore della Magistratura, riunito eccezionalmente a Napoli per sottolineare l’importanza della partita da vincere: quella contro le baby gang di camorra e contro la cultura mafiosa che stimola i ragazzini a compiere reati predatori per “il desiderio di soddisfare bisogni materiali” e così “emulare modelli veicolati dai mass media”.
Sono alcuni dei passaggi della risoluzione della VI Commissione del Csm – relatori i consiglieri Paola Balducci, Antonello Ardituro e Raffaele Cananzi – che il Plenum affronterà oggi pomeriggio. E come sottolinea Ardituro, “sulle misure cautelari per i minorenni esistono dei paradossi sui quali i magistrati che abbiamo sentito ci hanno chiesto di intervenire”.
Forse anche per questo i fascicoli minorili a Napoli sono diminuiti tra luglio 2016 e 2017 del 24%. “Non perché c’è stato un calo degli episodi criminosi, ha spiegato in commissione la pre- sidente del Tribunale dei minori di Napoli Maria De Luzenberger, ma “perché sono aumentate le mancate denunce delle vittime e sono diminuite le segnalazioni da parte delle forze dell’ordine”.
La risoluzione è il frutto dell’analisi del “caso Napoli” e delle relazioni provenienti dai Tribunali minorili di Napoli, Reggio Calabria e Catania. Il vicepresidente del Csm Giovanni Legnini coordinerà i lavori su te- mi che hanno diviso e continuano a dividere pezzi di magistratura, tra chi è favorevole all’allontanamento dei minori dalle famiglie dei boss, e chi invece ritiene che lo Stato dovrebbe rispondere intensificando le politiche di inclusione e di reinserimento.
TRA I PRIMI c’è il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho: “Da anni – ha detto – si opera per sottrarre i figli ai boss quando il contesto non consente per loro alcuna proiezione futura che non sia quella della permanenza nel sodalizio ma- fioso. Le risoluzioni del Csm stanno dando sul punto delle indicazioni condivisibili e rispondono ai risultati positivi che sono stati conseguiti attraverso i modelli proposti da Reggio Calabria e Napoli”.
I contrari fanno proprie le riflessioni dell’ex giudice di Napoli Nicola Quatrano – autore della sentenza di condanna della “paranza dei bambini”, le baby gang di camorra portate alla sbarra dai pubblici ministeri Francesco De Falco ed Henry John Woodcock – che in un editoriale sul Corriere del Mezzogiorno ha scritto: “Sottrarre i figli a chi delinque è una punizione collettiva vietata dalla Convenzione di Ginevra e risponde a una logica militare che considera chi delinque un nemico da annientare e non un problema sociale da risolvere”.
MA SECONDO la relazione del presidente del Tribunale dei minori di Reggio Calabria, Roberto Di Bella, che è stato il primo a usarla, la misura dell’allontanamento dei minori funziona: “Su quasi 50 provvedimenti, tutti i ragazzi hanno ripreso la frequenza scolastica interrotta, svolgono attività socialmente utili, frequentano percorsi alla legalità con gli operatori antimafia. L’orientamento giurisprudenziale ha portato un vero e proprio scossone culturale, ha intercettato quasi un bisogno sociale da parte di tante madri ‘ndranghetiste”.
Ricordando che “nel 2017 lo stesso ufficio giudiziario si trova a giudicare i figli o i fratelli minori di coloro che erano stati processati negli anni 90: tutti appartenenti alle storiche famiglie del territorio. La conferma che la ‘ndrangheta si eredita, con l’indottrinamento sistematico dei figli”.
Un anno di inchieste Dal luglio del 2017 24% di fascicoli in meno: per i pm è dovuto alle poche denunce