Toninelli, il ministro carabiniere “uscito dall’uovo di Pasqua”
“Il ministro è un bugiardo e deve dimettersi”. La frase era indirizzata a Danilo Toninelli. Pensiero legittimo e non così isolato. Solo che a pronunciarla, con la consueta ars retorica da venditore di pentole irrisolto, è stato Matteo Renzi. E sentire Renzi che dà del bugiardo a qualcuno è quasi come immaginare Ted Bundy che accusa un altro d’esser troppo violento. Oltretutto, se un bugiardo dovesse dimettersi, Renzi dovrebbe rinunciare alla sua stessa esistenza. Un tale inizio pare però figlio dell’insopportabile “E allora il Pd?”. Come a dire: se anche i 5Stelle sbagliano, sono comunque migliori del Pd. Capirai: chiunque è migliore di un renziano di grido. Anche un fagiano morto. Il caso Toninelli esiste e resiste. Troppi errori, troppi inciampi. Era naturale che prima o poi Crozza lo crivellasse. Lo ha fatto tratteggiandolo come un ragazzotto ingenuo, che parla per frasi fatte, loda a caso il “governo del cambiamento” e parla genericamente di “mangiatoie” che ieri esistevano e oggi no. Magari fosse così facile e magari fosse vero. Toninelli è nato nel ’74 a Soresina, in provincia di Cremona. Vive a Castelleone con la moglie e i due figli. Ieri, su Wikipedia, un buontempone aveva aggiunto alla sua biografia: “Uscito dall’uovo di Pasqua il primo aprile 2018”. Liceo Scientifico, laurea in Giurisprudenza. Tre anni nei carabinieri. Liquidatore di sinistri e ispettore tecnico presso una compagnia assicurativa. Si iscrive al M5S nel 2009, anno di nascita del Movimento. Non viene eletto nel 2010 alle Regionali in Lombardia e nel 2012 alle Comunali di Crema (9 preferenze). Deputato nel 2013 e 2018. Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti nel Salvimaio.
IL DICASTERO si rivelerà subito uno dei più nevralgici, sia perché riguarda battaglie campali per il M5S (Tav), sia per fatti più contingenti (migranti, ponte Morandi). Toninelli diviene subito uno dei ministri più criticati, emblema – secondo l’opposizione – di quei dilettanti allo sbaraglio ora al potere. L’immagine che più racconta Toninelli è quella del 25 giugno 2014, quando incontra in streaming l’allora potentissimo e riveritissimo Renzi. Toninelli gli illustra il “Democratellum”, legge elettorale da lui partorita e non poco cervellotica. Renzi ha buon gioco a fare il bullo, zimbellandolo con consueta arroganza e lodando al contempo le mirabili virtù dell’Italicum ( sic). Già in quella occasione Toninelli parve quel che poi è sempre parso: uno a cui vien voglia di dar torto anche se ha ragione, a causa di quell’aria perenne a metà strada tra il pedante logorroico e il saputello un po’ nerd. Non pochi colleghi 5Stelle lo descrivono come un leghista casualmente iscritto ai 5Stelle, a suo agio nel dar quasi sempre ragione a Salvini (Saviano l’ha attaccato per questo duramente). L’immagine che Toninelli dà spesso di sé è quella del carabiniere da stereotipo: zelante e senz’altro onesto (non è poco), ma costantemente legnoso e ben poco autoironico. Lui stesso ci mette del suo, postando autoscatti in cui parla di sguardo “vigile”, che però a guardarlo tanto “vigile” non sembra. Il resto è storia recente. Gli scontri con Giovanni Toti e Mario Calabresi, contro i quali è impossibile aver torto ( ma lui ci va vicino). La scelta dell’ingegner Bruno Santoro, da lui nominato nella commissione che indaga sul crollo del ponte Morandi e subito dimessosi perché uno dei 20 indagati dalla Procura per omicidio colposo plurimo. Eccetera. I 5Stelle hanno fatto dell’onestà un mantra. E Toninelli lo è. Ma l’onestà, da sola, non basta. E Toninelli, per ora, fa di tutto per ribadirlo.