Lo stallo svedese: welfare a pezzi più che razzismo
Il pareggio destra-sinistra nelle urne: ha pesato di più la crisi del modello scandinavo della campagna anti-stranieri. Governo “impossibile”
Che il crollo del welfare sia una realtà innegabile che gli svedesi non possono accettare per la loro storia è oggettivo. Che una buona porzione della società svedese si senta depauperata dei servizi a causa dello straniero, delle risorse economiche stornate per mantenere i rifugiati durante i sette, otto anni di cui mediamente hanno bisogno prima di essere idonei al mercato del lavoro, o per pagare i docenti impegnati nell’i n s egnamento della lingua ai neo-arrivati, anche.
Tanti elementi hanno contribuito a rendere questo voto schizofrenico, tra i quali l’impennata di criminalità che nello scorso anno ha causato 120 sparatorie solo a Stoccolma. Tra i quartieri ghetto di Malmö e Göteborg invece, la mafia dei Balcani e gli immigrati clandestini preferiscono le bombe. Un clima del generare non può che generare q ue l l’insicurezza sociale che poi, per protesta, per razzismo o per ignoranza, finisce dritta dentro le urne.
Il ricordo dell’esodo biblico che nel 2015 ha condotto nel Paese 160 mila migranti, è ancora molto vivido nella memoria svedese. Non lo sono invece i circa 80mila rimpatri che il premier u- scente socialdemocratico Stefan Löfven ha effettuato, per la prima volta in modo così massiccio (e discreto).
La situazione economica della Svezia di oggi è buona. Lo Stato sociale sgretolato invece ha lasciato un vuoto incolmabile nella tradizione antropologica di questo Paese. Il doppio mandato del centrodestra, dal 2006 al 2014, di cui tutti sembrano essersi dimenticati, ne ha cambiate di cose. Sotto la voce “modernità” ha avviato il tipico processo di liberalizzazione scomposta, delegando grosse fette di cosa pubblica al privato.
A ESEMPIO LE RISORSE della sanità, tema molto sentito, vengono oggi pesantemente intaccate dalle visite mediche private che si possono fare online, e che poi vengono fatturate al servizio sanitario nazionale. Come conseguenza, per una qualsiasi visita specialistica nel pubblico, anche oncologica, ci sono lunghe liste d’attesa. La storia insegna che quando c’è anche un po’ di malcontento, basta trovare un nemico da indicare ad alta voce e il popolo, specie se non troppo incline al confronto e alla riflessione, ti segue. Non è originale quanto fatto dal giovane Jimmie Åkesson con il suo partito di estrema destra, Sverigedemokraterna, certo. Lo è però a queste latitudini. Ha osato, meno di dieci anni fa, proporre un linguaggio diretto all’elettorato, una schiettezza nell’affrontare temi scomodi e scottanti come l’immigrato e i suoi costi, la “svedesità” da difendere da una contaminazione etnica multicolore e irreversibile, il diritto degli svedesi alla priorità nell’accesso ai servizi. E da signor nessuno e diventato il politico che ha acceso le telecamere del mondo sulle elezioni in Svezia.
La xenofobia è un fenomeno presente anche qui, come pure la corruzione e il sottobosco di abusi e malcostume che il movimento #metooha scoperchiato, travolgendo anche l’A cc ad emia di Svezia. Non è un caso che tutta la campagna elettorale sia stata giocata sulla sicurezza sociale e sull’immigrazione. Il centrosinistra l’ha declinata in termini di integrazione. Ma non era ciò che le pance volevano sentirsi dire.
Schermaglie
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