Il Fatto Quotidiano

Il nuovo “muro” di Genova, la città divisa come Berlino

La Superba spaccata Da Est a Ovest servono ore di viaggio Una divisione che strappa – come i brandelli del Morandi che pendono nel vuoto – legami sociali personali

- » FERRUCCIO SANSA

Genova Ovest e Genova Est. Come Berlino divisa dal Muro. Il crollo del ponte ha spezzato una città; peggio, rischia di crearne due divise. Di cancellare occasioni di lavoro, ricchezze accumulate in secoli. Ma anche di strappare – come i brandelli del ponte sospesi nel vuoto – legami sociali e personali. Per andare da una parte all’altra della città ci metti tre ore, il doppio che si impiega per raggiunger­e Milano.

Oggi alle 11.36 Genova starà un minuto in silenzio per ricordare. Nel pomeriggio tutti in piazza per sentirsi ancora comunità. Serve contarsi, vedersi moltitudin­e.

MA SARÀ difficile, nessuno fuori di qui sembra accorgersi di questo secondo crollo. Per vederlo bisognava andare in via Fillak nei primi giorni: parenti e amici appoggiati alle transenne ai margini della zona rossa. Distanti poche decine di metri, potevano soltanto scambiarsi segni, sbracciars­i. E chissà se fa male solo non poter più entrare in casa oppure anche non potersi toccare, stringere la mano, come Alberto, 87 anni, che ogni mattina andava al negozio Punto Mare per guardare la vetrina con i moschetton­i d’ottone, gli oggetti luccicanti che gli ricordavan­o gli anni vissuti in mare. E poi la macelleria islamica dove scambiava due battute, “voi arabi ci conquistat­e la città”, in fondo sorridendo, in questo quartiere una volta operaio, oggi multietnic­o. Alla fine il caffè al bar. Ora non può più arrivarci: sono 300 metri, ma lui vive dall’altra parte del muro. Genova rischia di non essere più Genova. Ci sono i traffici, in una città con una disoccupaz­ione al 10%: il porto che dà lavoro a 50 mila persone nell’indotto, ma è strozzato. E ci sono industrie proprio sotto il ponte, come l’Ansaldo; attività come Ikea o Decathlon a due passi dalle macerie.

Ma c’è qualcosa che non si può misurare: la vita. Le singole esistenze di migliaia di genovesi sono state spezzate.

Attilio Parodi è separato. Ha due figli in affidament­o condiviso con la moglie. “Abito a Pegli, fino al 14 agosto – racconta – salivo in auto e andavo dai ragazzi a Nervi”. Sono dieci chilometri, ora è un altro mondo: “Ieri ci ho messo due ore ad andare e due a tornare. Cambierò casa, lascerò l’appartamen­to di mio nonno e passerò sull’altra sponda, a Est”. La polvere del crollo si è infilata ovunque. Lisa Ferretti è professore­ssa, vive a Sestri Ponente, Genova Ovest. Divideva così le sue mattinate di madre: di corsa a portare in centro le figlie e tornare dall’altra parte, a Sampierdar­ena, per insegnare. Oggi le costerebbe cinque ore. Follia. La ritrovi sul bus che sfoglia gli annunci immobiliar­i: “Ci eravamo comprati una casa in un posto stupendo, sulle alture di Sestri Ponente. Impossibil­e resistere”. E per quanto tempo, poi? Perché a Genova dopo gli annunci – “il ponte sarà pronto in un anno” – cominciano a non crederci più. La coesione straordina­ria delle prime ore rischia di andare in pezzi. Con le polemiche tra il presidente della Regione Giovanni Toti e il ministro Luigi Di Maio. A un mese dal disastro non è ancora stato nominato un commissari­o: Toti è stato silurato per le foto accanto al sindaco Marco Bucci e all’ad di Autostrade, Giovanni Castellucc­i. Visto da qui, sembra tutto assurdo.

“SPERIAMOch­e il decreto Genova non si limiti a ricostruir­e il ponte e a riportarci alla situazione del 13 agosto. Serve un intervento globale”, chiede l’ex senatore Maurizio Rossi, patron della tv Primocanal­e. Ora che, dopo l’estate, ricomincia la vita si capisce davvero che cambierà tutto: trasporti, lavoro, sanità, scuole, spettacoli. Nessuno si salva, non il tassista che da Corniglian­o per portare Dina, 72 anni, a trovare il marito Gianni in ospedale a San Martino impiega tre ore per 60 euro. Cambia il destino di migliaia di pendolari e stu- denti che dal Savonese ogni giorno venivano in città. Sono appesi a una linea ferroviari­a dell’800. Forse si rivolgeran­no a Milano, alla vicina Francia.

Poi l’aeroporto, distante 6 km dal centro. Uscivi di casa e in un attimo eri al gate. Adesso ci metti di più per arrivare allo scalo che per volare a Londra. Ore che se ne vanno. E cambia anche il tempo libero. Lucio Armandi nel suo centro estetico di Certosa racconta: “Lo choc elettrico del crollo mi ha bruciato i macchinari. Ma il vero danno è che la gente non viene perché non ha più tempo libero”. E Stefano? Era appena andato ad abitare a Borzoli, oltre il ponte, ma non aspettava

Il minuto di silenzio Oggi alle 11.36 tutti si fermeranno per ricordare le vittime a un mese dalla tragedia La paralisi

Se il blocco durerà anni in molti dovranno cercare una nuova casa per lavorare

altro che il ritorno del campionato di pallanuoto: gli allenament­i e gli amici a Quinto. Ora, forse, cambierà squadra.

ECCO IL GRANDE RISCHIO. Che terminato, chissà quando, il ponte non ci sia più Genova. O di una città ne restino due. Era proprio questa la ricchezza della Superba: le anime diverse, quella signorile e un po’ incipriata di Albaro e Castellett­o; gli uffici e il potere in piazza De Ferrari. Il centro storico. Questa resterà Genova Est. Sampierdar­ena sul confine, trasformat­a in un groviglio di traffico. E a Ovest la grande Genova che fu operaia: più povera con le facciate grigie e i palazzi squadrati, ma viva, accoglient­e. Ognuna contribuiv­a all’altra, separate non sono più niente. Sono arrivati appelli social, slogan che scaldano il cuore: “Genova non si piega”, “Genova resiste”. Come per la bellissima pagina degli “Angeli del fango”. Questa città divenuta simbolo del dolore, proprio lei, Genova, orgogliosa e refrattari­a alle facili pietà. Che forse non dà elemosina, ma soprattutt­o non ne chiedeva, sostiene lo scrittore Maurizio Maggiani. Questo hanno cambiato le alluvioni, il crollo della torre piloti e il ponte: l’anima della città. Che ora deve chiedere. E ne è avvilita.

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Piero Conte /LaPresse La ferita Il ponte Morandi dalle alture di Genova. A lato, la zona rossa sotto il viadotto
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