UN’ALTRA EUROPA ESISTE, OLTRE GLI STATI
Il voto del Parlamento europeo su Orbán dimostra che l’Unione può essere più giusta
Immaginate esista una maggioranza politica in tutta Europa a favore della chiusura dei paradisi fiscali, di una politica migratoria comune, di un piano di investimenti in riconversione ecologica e industriale e della difesa della libertà d’espressione e dei diritti fondamentali. La buona notizia è che tale maggioranza esiste. La cattiva è che gli Stati nazionali ne boicottano ogni azione.
Stiamo Parlando del Parlamento europeo, che a grande maggioranza ha appena chiesto l’attivazione di sanzioni politiche nei confronti del governo autoritario di Viktor Orbán. Il motivo: ripetute violazioni dei diritti fondamentali, in particolare per quanto riguarda il controllo politico su giustizia, informazione e scuola, nonché il sistematico utilizzo clientelare dei fondi europei. Anni fa si tentò, fallendo per un voto, un’azione simile riguardante il controllo d e ll ’ informazione esercitato dal governo di Silvio Berlusconi.
Ora la palla passa al Consiglio europeo, che racchiude i capi di Stato e di governo in estenuanti, e tendenzialmente inconclusive, negoziazioni segrete. È probabile che qui, complici i classici giochi di favore fra governanti, la richiesta del Parlamento venga af- fossata. E che i cittadini ungheresi vittima degli abusi del proprio governo vengano lasciati a loro stessi.
Non si tratta però di un caso isolato. Solo pochi mesi fa lo stesso Parlamento europeo ha approvato un’ottima riforma del Trattato di Dublino, il testo che governa la politica migratoria europea. Nonostante la Lega non abbia mai partecipato ai lavori parlamentari e abbia inspiegabilmente anche votato contro – prima viene l’amico Orbán, poi gli italiani? – la risoluzione prevede ricollocamenti automatici e gestione condivisa degli arrivi. Come è finita la storia? Legge arenata nelle sacche del Consiglio europeo, perché ogni capo di governo deve fare il duro per le proprie televisioni.
Ancora un esempio: l’evasione fiscale. L’Unione perde fino a 1.000 miliardi di gettito imponibile grazie al sistema dei paradisi fiscali – di cui al- meno 5 all’interno dell’Europa (Malta, Lussemburgo, Olanda, Cipro, Irlanda). Sono soldi che vanno ad arricchire i bilanci miliardari delle multinazionali che ne fanno uso – da Google a Ikea – e che vengono sottratti all’erario nazionale. Il Parlamento europeo ha chiesto a gran voce di mettere fine a questo scandalo. Sappiamo come farlo e potremmo farlo domani. Conclusione: ogni iniziativa è stata bloccata dal Consiglio europeo, perché ogni capo di governo ha qualche multinazionale da difendere.
Ungheria, migrazione, giustizia fiscale. Tre vicende che sono in realtà un unico scontro. Da un lato il Parlamento europeo: direttamente eletto dai cittadini e sempre più capace di trovare una sintesi che rappresenti l’interesse comune dei cittadini. Dall’altro il Consiglio europeo, in cui tanti piccoli capi di governo si mettono veti reciproci precipitando l’Unio- ne nell’inconcludenza. Da un lato, un seme di democrazia transnazionale. Dall’altro, i rimasugli di un sistema di diplomazia internazionale oramai superato dalla storia. Da un lato il popolo. Dall’altro il Congresso di Vienna.
Non basta lamentarsi che l’Europa non faccia sentire la propria voce. La causa sta nella volontà degli Stati nazionali di impedire la nascita di una vera democrazia europea. E quindi, invece di andare a Bruxelles a lamentarsi, a minacciare o ad elemosinare scampoli di flessibilità, si dovrebbe mettere sul tavolo una proposta semplice quanto dirompente: la democratizzazione del continente. Per recuperare sovranità popolare esiste una soluzione: sui grandi temi europei, tutto il potere al Parlamento europeo!
* co-fondatore di Diem25 insieme a Yanis Varoufakis
Non basta lamentarsi che l’Europa non faccia sentire la propria voce. La causa sta nella volontà degli Stati nazionali di impedire la nascita di una vera democrazia europea