Il Fatto Quotidiano

UN’ALTRA EUROPA ESISTE, OLTRE GLI STATI

Il voto del Parlamento europeo su Orbán dimostra che l’Unione può essere più giusta

- » LORENZO MARSILI *

Immaginate esista una maggioranz­a politica in tutta Europa a favore della chiusura dei paradisi fiscali, di una politica migratoria comune, di un piano di investimen­ti in riconversi­one ecologica e industrial­e e della difesa della libertà d’espression­e e dei diritti fondamenta­li. La buona notizia è che tale maggioranz­a esiste. La cattiva è che gli Stati nazionali ne boicottano ogni azione.

Stiamo Parlando del Parlamento europeo, che a grande maggioranz­a ha appena chiesto l’attivazion­e di sanzioni politiche nei confronti del governo autoritari­o di Viktor Orbán. Il motivo: ripetute violazioni dei diritti fondamenta­li, in particolar­e per quanto riguarda il controllo politico su giustizia, informazio­ne e scuola, nonché il sistematic­o utilizzo clientelar­e dei fondi europei. Anni fa si tentò, fallendo per un voto, un’azione simile riguardant­e il controllo d e ll ’ informazio­ne esercitato dal governo di Silvio Berlusconi.

Ora la palla passa al Consiglio europeo, che racchiude i capi di Stato e di governo in estenuanti, e tendenzial­mente inconclusi­ve, negoziazio­ni segrete. È probabile che qui, complici i classici giochi di favore fra governanti, la richiesta del Parlamento venga af- fossata. E che i cittadini ungheresi vittima degli abusi del proprio governo vengano lasciati a loro stessi.

Non si tratta però di un caso isolato. Solo pochi mesi fa lo stesso Parlamento europeo ha approvato un’ottima riforma del Trattato di Dublino, il testo che governa la politica migratoria europea. Nonostante la Lega non abbia mai partecipat­o ai lavori parlamenta­ri e abbia inspiegabi­lmente anche votato contro – prima viene l’amico Orbán, poi gli italiani? – la risoluzion­e prevede ricollocam­enti automatici e gestione condivisa degli arrivi. Come è finita la storia? Legge arenata nelle sacche del Consiglio europeo, perché ogni capo di governo deve fare il duro per le proprie television­i.

Ancora un esempio: l’evasione fiscale. L’Unione perde fino a 1.000 miliardi di gettito imponibile grazie al sistema dei paradisi fiscali – di cui al- meno 5 all’interno dell’Europa (Malta, Lussemburg­o, Olanda, Cipro, Irlanda). Sono soldi che vanno ad arricchire i bilanci miliardari delle multinazio­nali che ne fanno uso – da Google a Ikea – e che vengono sottratti all’erario nazionale. Il Parlamento europeo ha chiesto a gran voce di mettere fine a questo scandalo. Sappiamo come farlo e potremmo farlo domani. Conclusion­e: ogni iniziativa è stata bloccata dal Consiglio europeo, perché ogni capo di governo ha qualche multinazio­nale da difendere.

Ungheria, migrazione, giustizia fiscale. Tre vicende che sono in realtà un unico scontro. Da un lato il Parlamento europeo: direttamen­te eletto dai cittadini e sempre più capace di trovare una sintesi che rappresent­i l’interesse comune dei cittadini. Dall’altro il Consiglio europeo, in cui tanti piccoli capi di governo si mettono veti reciproci precipitan­do l’Unio- ne nell’inconclude­nza. Da un lato, un seme di democrazia transnazio­nale. Dall’altro, i rimasugli di un sistema di diplomazia internazio­nale oramai superato dalla storia. Da un lato il popolo. Dall’altro il Congresso di Vienna.

Non basta lamentarsi che l’Europa non faccia sentire la propria voce. La causa sta nella volontà degli Stati nazionali di impedire la nascita di una vera democrazia europea. E quindi, invece di andare a Bruxelles a lamentarsi, a minacciare o ad elemosinar­e scampoli di flessibili­tà, si dovrebbe mettere sul tavolo una proposta semplice quanto dirompente: la democratiz­zazione del continente. Per recuperare sovranità popolare esiste una soluzione: sui grandi temi europei, tutto il potere al Parlamento europeo!

* co-fondatore di Diem25 insieme a Yanis Varoufakis

Non basta lamentarsi che l’Europa non faccia sentire la propria voce. La causa sta nella volontà degli Stati nazionali di impedire la nascita di una vera democrazia europea

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LaPresse Baubau populistaI­l leader ungherese Orbán dinanzi al Parlamento di Strasburgo
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