Condannato il “grande fratello” inglese
Le intercettazioni a tappeto hanno leso la privacy e il lavoro della stampa
Una
sentenza descritta come una pietra miliare nello scontro sempre più attuale fra diritti individuali e sicurezza nazionale. Per i giudici della Corte europea dei Diritti umani di Strasburgo il governo del Regno Unito non ha assicurato il pieno rispetto della privacy dei suoi cittadini e non ha garantito la necessaria protezione delle fonti giornalistiche.
Il parere legale ha valutato tre aspetti della sorveglianza digitale: intercettazioni di massa, rispetto della libertà di espressione e condivisione intergovernativa delle informazioni raccolte. Nei primi due casi, i giudici hanno stabilito che il governo britannico ha violato la Convenzione europea dei Diritti umani, mentre nel terzo non hanno rilevato illegalità. È la coda legale dello scandalo Datagate, esploso nel 2013, quando Edward Snowden, ex analista della Cia e consulente dell’agenzia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, la Nsa, consegnò al giornale britannico Guardian e all’americano Washington Post le prove di come l’agenzia avesse messo in pratica una sorveglianza di massa, partendo dal tentativo di intercettare le comunicazioni delle organizzazioni criminali e terroristiche.
“ANCHE SEnon stai facendo niente di male, qualcuno ti osserva e ti registra” fu la sua denuncia; ricercato dalle autorità di Washington, trovò la Russia ad aprirgli le porte, ed è lì che ancora si trova. Un’operazione di ‘spionaggio di Stato’globale in cui sono coinvolti i servizi di diversi Paesi fra cui la Gcgh, l’agenzia di intelligence del Regno Unito. Quattordici fra ong, giornalisti e attivisti dei diritti umani di tutto il mondo hanno presentato un ricorso a Strasburgo. Ieri, la Corte europea ha dato loro ragione.
“Per cinque lunghi anni, i governi hanno negato che la sorveglianza globale di massa violasse i nostri diritti. E per cinque lunghi anni abbiamo dato loro la caccia in tribunale. Oggi abbiamo vinto. Non ringraziate me, ma tutti quelli che non hanno mai smesso di lottare”, ha scritto Snowden sul suo profilo Twitter.
Caroline Wilson Palow, consigliera generale di Privacy International, ha affermato: “La sentenza della Corte critica il regime delle intercettazioni in vigore nel Regno Unito per aver lasciato eccessiva mano libera alle agenzie di sicurezza di scegliere chi spiare e quando spiarlo. Se è tecnicamente possibile intercettare tutte le nostre comunicazioni private, questo non significa che sia anche legale. La sentenza prosegue, giustamente, affermando che raccogliere i dati – ossia il chi, il cosa e il dove delle nostre comunicazioni – è illegale tanto quanto raccoglierne i contenuti. Da questo punto di vista la sentenza rappresenta un importante baluardo a difesa della protezione della nostra riservatezza”. Ma, almeno per il Regno Unito, potrebbe essere una vittoria temporanea. I magistrati, riconoscendo la gravità delle minacce del terrorismo, abusi sessuali online e altri cybercrimini, hanno sottolineato come la sorveglianza di massa possa essere necessaria, pur nel rispetto di certe garanzie, nell’interesse della sicurezza nazionale. E la sentenza si basa sulla Regulation of Investigatory Powers Actdel 2000, in vigore ai tempi dello scandalo; sarà presto soppiantato da una nuova legislazione, già approvata da Westminster.