Taglio dello stipendio, (s)Fortunato si arrabbia
Docente della Scuola dell’Amministrazione senza concorso, ma fa ricorso
Ma quale regalo. Vincenzo Fortunato, potente mandarino di Stato è su tutte le furie: la decisione assunta dal governo nel 2014 di attribuirgli lo status di professore universitario alla Scuola Nazionale dell’Amministrazione (Sna) per lui è un danno. E ora è sul piede di guerra: il suo stipendio, equiparato a quelli dei baroni universitari di prima fascia, non è infatti neppure lontanamente all’altezza di quanto percepito in passato. E sarà pure costretto ad accontentarsi solo di quello: basta con gli altri incarichi e stop, soprattutto, all’esercizio di altre attività libero-professionali, proprio come imposto a chi insegni negli Atenei italiani a tempo pieno. Sempre che non riesca a impallinare la norma che lo condanna a emolumenti decisamente non da fame, ma sicuramente più modesti per il potente uomo di Stato: con uno stipendio superiore ai 530 mila euro nel 2012 era il manager pubblico meglio pagato dopo il capo della Polizia, AntonioManganelli e il Ragioniere generale dello Stato, Mario Canzio. Ma il record rischia di essere solo un ricordo: ora, si fa per dire, si preparano per lui tempi bui.
EN TR ATO in magistratura grazie a un concorso vinto nel 1980, Fortunato vi è rimasto fino al 1988. Quando ha passato un’altra selezione, per magistrato amministrativo di Tar, nei cui ruoli è rimasto sino al 2002. Nello stesso anno è stato nominato professore ordinario della Scuola Superiore dell’Economia e Finanze (Ssef) di cui è stato poi rettore dal 2004 al 2006. Di lì una scalata inar- restabile nei ranghi dell’amministrazione: nel 2005 è stato eletto componente del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa, di cui è divenuto vicepresidente nel 2008. Ma di Fortunato si ricordano soprattutto i numerosi incarichi al mini- stero della Giustizia, degli Esteri, dell’Economia e delle Infrastrutture. Che altro? Dal 1990 è anche giudice tributario e dal 2013 è iscritto all’Albo degli avvocati Cassazionisti di Roma. Collezionando in questo ruolo clienti di un certo rilievo sicuramente disposti a pagare parcelle di peso per essere difesi soprattutto nei confronti della Pubblica amministrazione.
A OGNI MODO, quando nel 2014 il governo decise di far confluire tutte le scuole dell’amministrazione nella Sna, premiandone i docenti con lo status giuridico ed economico di professore universitario, si pensò che Fortunato avesse vinto alla lotteria, conquistando un titolo ambitissimo e senza bisogno neppure di sostenere un concorso. Niente di più sbagliato, altro che brindare a champagne. Nel passaggio da docente della Scuola dell’Economia e Finanze a professore alla Sna avrebbe perso, secondo quanto ha sostenuto di fronte al Consiglio di Stato, il 50- 60 per cento del precedente trattamento stipendiale. Ma non è tutto: gli sono pure arrivate “diffide a cessare la situazione di incompatibilità”, derivante evidentemente dalle sue prestazioni di avvocato. E per di più con la minaccia del “r ec u p er o delle differenze indebitamente corrisposte”. Cosa che ha spinto lui e altri nella sua stessa posizione a fare ricorso per chiedere l’annullamento di tutti quegli atti, in particolare un decreto del 2015. Che in meno di 15 giorni, avrebbe voluto costringerli a prendere “decisioni vitali e irreversibili legate a u n’unica alternativa prospettata, quale la permanenza nella Sna o la continuazione della (sola) attività libero – professionale”, si legge ancora nel ricorso di Fortunato di fronte al collegio del Consiglio di Stato presieduto da Filippo Patroni Griffi (vedi articolo sopra). Che da ex ministro della PA, la questione dei tetti agli stipendi pubblici la conosce benissimo. E che ha deciso di rimettere gli atti nelle mani della Consulta.
Il boiardo La decisione del governo gli costa il 60% degli introiti. Lo Stato vuole da lui anche gli arretrati