L’ambasciatore fatto fuori da Haftar e da Parigi
L’ambasciatore
italiano in Libia, Giuseppe Perrone, vittima sacrificale di giochi di potere, fatto fuori su pressione della Francia al generale Khalifa Haftar, uomo forte della Cirenaica. Le i nd is cr ez io ni non hanno i crismi dell’ufficialità ma seguendo l’andamento delle ultime settimane sullo scenario politico libico, tra ingerenze e dichiarazioni di facciata, raccontano una storia parallela credibile. Se così fosse, e in tanti ne sono certi, spiegherebbe la posizione assolutamente subalterna del governo italiano alla Francia, rivale numero uno sul fronte delle politiche migratorie nel Mediterraneo. E spiegherebbe anche la concreta e definitiva decisione d e l l’Italia di mollare il leader del governo di Concordia Nazionale ( Gna), Fayez al-Serraj, fino a oggi l’unico nostro alleato in Nordafrica. L’Italia non si fida più di al-Serraj e della sua possibilità di essere argine alla deriva sociale della Libia e partner ideale per la lotta all’immigrazione. Un drastico cambio di rotta che allontana anche da Bruxelles il nostro Paese, pronto a essere accolto dall’Egitto di al-Sisi, dalla Russia di Putin e, nonostante non corra buon sangue, dalla Francia di Macron. Dimenticate le schermaglie sul fronte dei migranti tra lo stesso Macron e il nostro ministro degli Esteri, Matteo Salvini, il vero leader di questa operazione. Costretto, suo malgrado, ad abbassare la testa. Proprio l’Eliseo, stando ad un deputato libico della Cirenaica, avrebbe fatto pressione su Khalifa Haftar affinché imponesse al nostro ministro degli Esteri di sostituire Perrone.
LA NOTIZIAè stata riportata da un sito informativo, Arabi 21 e riporta un retroscena del re- cente incontro tra Moavero e Haftar a Bengasi. Mettendo assieme tutte le tessere del mosaico, la storia torna e ha un senso. A partire da Giuseppe Perrone, bloccato da più di un mese a Roma, in attesa di comunicazioni ufficiali. Un leone in gabbia. Lontano da Tripoli nei giorni della rivolta delle milizie ostili ad al-Serraj, del lancio di razzi su un hotel a due passi dall’ambasciata e sull’aeroporto internazionale Mitiga, oltre all’attacco terroristico alla Noc (la compagnia petrolifera libica). Costretto a seguire i fatti al telefono. Eppure la spiegazione sul suo mancato ritorno a Tripoli, a guidare la prima ambasciata occidentale riaperta dopo i disordini successivi al 2014, non regge: “Perrone non torna in Libia per motivi di sicurezza e per la sua incolumità”, ha precisato il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi.
Decisiva, in realtà, è stata l’intervista rilasciata dallo stesso Perrone alcuni mesi fa a un portale d’informazione libico, in cui il diplomatico riteneva impossibili le elezioni il prossimo 10 dicembre. Così è diventato un ostacolo di cui sbarazzarsi perché l’appuntamento è considerato fondamentale dalla Francia. Poco importa che lo stesso Haftar, pochi giorni fa, abbia cambiato idea sulla necessità di fissare il voto a così breve termine. Macron troverà il modo per fargliela cambiare di nuovo.
L’intervista Intollerabile, per i francesi, il “no” del diplomatico alle elezioni a dicembre