Treviso casa Benetton, dove nessuno tocca la Famiglia
Quartier generale Nella patria della dinastia l’eco del ponte non arriva: “I giornali hanno scritto troppe cose ingiuste su di loro”
“Bellissimo il restauro. Grande solidarietà alla famiglia Benetton in un periodo non facile (sotto tutti i punti di vista) come questo”. Firmato: Elena, martedì 21 agosto 2018. Da una settimana il ponte Morandi è crollato, la conta dei morti di Genova si è appena conclusa e la dinastia Benetton si trova nel mezzo di una tempesta politica, umana, massmediale e giudiziaria, senza precedenti, che mette a nudo la struttura di potere economico, interessi e affari degli esponenti forse più conosciuti al mondo del neocapitalismo italiano.
LA DEDICA è sul registro dei visitatori, nelle Gallerie delle Prigioni asburgiche a Treviso, dove è allestita una mostra di arte giapponese. L’autrice è una signora trevigiana. Ed è molto più di una dedica entusiasta per una mostra ricavata in uno spazio che i Benetton hanno restaurato e messo a disposizione della città. È un inchino.
Se a Torino gli Agnelli erano la famiglia reale, a Treviso i Benetton sono l’incarnazione del sogno nordestino di costruire ricchezza, monetizzare idee imprenditoriali e portarle in giro per il mondo. L’esemplificazione del successo che si apprezza di più nel luogo delle origini, dove c’erano le radici, i laboratori di maglieria prima che la produzione fosse trasferita in Tunisia, Serbia, Croazia o Turchia (ricordate la polemica sui baby-lavoratori?).
A Treviso tutto è esibizione degli “united-colors-of-Be- netton”. E l’indifferenza verso la tragedia di Genova regna sovrana. Piazza Duomo è l’epicentro dell'ostentazione, sfarzosa successione di palazzi e simboli, messaggi muti, ma assordanti, lanciati come in una campagna promozionale che neppure Oliviero Toscani sarebbe capace di inventare. Tutto parla dei Benetton. Serve una sede legale per Edizione, la holding dell’impe- ro, che controlla anche le autostrade? Nessun problema, si compera l'ex tribunale, edificio imponente di fronte al Duomo, diventato l'emblema della finanza in doppiopetto, contrappunto del potere religioso.
Nella grande chiesa la stirpe si è trovata riunita a luglio, per i funerali di Carlo, il minore dei quattro fratelli, che aveva 75 anni. Chi non ricorda le immagini perfette dei volti dei magnifici quattro di successo che, qualche decennio fa, guardavano diritti nell’obiettivo e lo bucavano con l’aria di chi ce l’ha fatta? Adesso anche loro sono gerontocrazia. Luciano ha 83 anni, ed è dovuto tornare sul ponte di comando del tessile-abbigliamento per salvare la baracca. Giuliana ne ha 81. Gilberto, che si occupa di architetture finanziarie, 77. Complessivamente hanno 15 figli e decine di nipoti e nipotini. E ognuno ha la sua bella villa con parco.
Il potere esibito è raccolto in un km quadrato, nel centro di Treviso. Percorsa Calmaggiore, la strada con portici affrescati e boutique, c’è piazza Indipendenza, dove quelli di Forza Nuova a Ferragosto hanno srotolato uno striscione: “United colors: rosso sangue”. Ovvio che la casa-madre abbia voluto un mega-store a quattro piani, con ascensori trasparenti e brulichio di commesse. Ma la scelta del luogo non è occasionale. Accanto ci sono Palazzo dei Trecento, sede del consiglio comunale, e la Prefettura. Potere amministrativo, statale ed economico. Ovvero i Benetton.
Un famoso avvocato con studio a due passi, commenta. “Hanno fatto tanto per Treviso. Dobbiamo tenerceli stretti”. Ma prima ci hanno pensato i fratelli vincenti a tenersi stretti i trevigiani. Con lo sport e gli scudetti di rugby, basket e volley. Con la cultura e il mecenatismo.
Ma cosa ne pensa il popolo dei Benetton-boys di quanto accaduto a Genova? Qui il viaggio finisce nelle sabbie mobili dell’indifferenza. Cominciare, per credere, da Monia Bianchin, Pd, sindaco di Ponzano Veneto, il paese dove tutto è cominciato. Dopo giorni di inutili ricerche per capire l’impatto del disastro d'immagine dopo Genova, fa rispondere: “È indaffarata, non trova il tempo per riceverla...”.
A VILLA MINELLI o a Castrette, dove hanno sede i settori abbigliamento, il centro direzionale, gli uffici di Luciano e l’ufficio stampa, è un fuggi fuggi generale. I dipendenti svicolano. “Vado a pranzo”. “Scusi, sono di fretta”. C'è perfino un ragazzone con la barba che dice: “Genova? Non so che cosa è successo, ero all’estero”.
Soltanto un impiegato osa: “Dispiace per quello che è accaduto, ma...”. L’unica a sfidare i taccuini è Veronica Andrea Vettore, laureata a Ca’ Foscari: “Io credo nella famiglia Benetton, l’unico curriculum al mondo l’ho mandato qui, perché è qui che volevo venire a lavorare. Su di loro sono state scritte cose ingiuste”. All’interno il silenzio è d’obbligo. ma qualcuno si lascia scappare: “Il Fatto Quotidiano? Ci avete massacrato... per voi siamo soltanto l’Impero del Male”.