Il “Salone” svalutato in attesa del salvatore
Torino Debiti, inchieste, dimissioni: la kermesse del Libro 2019 è a rischio. A meno che qualcuno non compri il marchio, a 0 euro
Debiti tra i 10 e gli 11 milioni di euro, intanto, venuti fuori con la liquidazione della vecchia Fondazione per il Libro controllata in buona parte da enti pubblici (Comune di Torino e Regione Piemonte). Poi le inchieste giudiziarie, le dimissioni dei suoi dirigenti, come quelle recenti di Massimo Bray, e i dipendenti senza stipendio. Ma, soprattutto, il pericolo che il Salone del Libro di Torino, nonostante il duello vinto alla grande con i rivali milanesi di “Tempo di L i br i ”, non arrivi alla sua trentaduesima edizione, quella del 2019.
È una crisi che lo scrittore Ernesto Ferrero, già timoniere di Librolandia assieme a Rolando Picchioni per quasi ve nt’anni, fotografa così: “Siamo al quarto anno di emergenza, e tutto resta ancora in alto mare. L’ed iz io ne 2019 del Salone del Libro è ancora più a rischio delle precedenti, malgrado l’eroismo di Nicola Lagioia e della squadra storica, forte di un’esperienza ventennale, ma tuttora senza contratto, stipendio, minime certezze”.
CI VORREBBERO, i ns om ma , un’inversione di rotta, magari l’arrivo di un cavaliere bianco che rilevi dal Tribunale di Torino il marchio del Salone e rilanci la kermesse. Lo auspica anche Ferrero, che dice: “Di fronte alle interminabili complicazioni della gestione pubblica, bloccata da una normativa kafkiana, non resta che guardare a un imprenditore privato della comprovata abilità di Urbano Cairo”. Sebbene coltivi da sempre la passione per la Juventus, l’ex direttore culturale del Salone non esita a fare il tifo per il presidente del Torino e del gruppo editoriale Rcs, il nome del quale è circolato in questi giorni.
Sarebbe lui il cavaliere bianco disposto a comprare il marchio di Librolandia, finito all’asta per ripianare un po’ dei debiti milionari della Fondazione per il Libro? Forse. Da Milano, però, Urbano Cairo versa abbondante acqua sul fuoco. Alla nostra domanda risponde seccamente: “Non ci ho mai pensato di acquisire il marchio del salone”. Una smentita è una smentita. Cairo, tuttavia, è stato protagonista di clamorosi colpi di mano. Come quando nell'estate del 2005, materializzandosi all'ultimo momento, si prese il Torino dal fallimento a costo zero.
Lo stesso Salone del Libro potrebbe essere comprato con una spesa minima. Si tratta di quella “normativa kafkiana” di cui parla Ferrero, che ha consentito, oltre un anno fa, la drastica svalutazione del marchio della manifestazione del Lingotto. La Fondazione lo fece stimare da uno studio di consulenza. E il marchio fu deprezzato in modo drastico, passando da un valore di quasi due milioni a uno oscillante tra i 160 mila e i 200 mila. Quasi come se qualcuno, sottolineava maliziosamente Rolando Picchioni, “abbia deciso di fare svalutare il marchio per prendersi il Salone a costo zero”.
L’ipotesi di Picchioni è solo un’illazione, almeno restando ai fatti conosciuti. Così come bisogna prendere atto della smentita di Cairo. Più credibile è che il marchio possa essere preso dalle fondazioni bancarie, Crt e San Paolo, che per anni hanno supportato il Comune e la Regione nella organizzazione della kermesse. A loro potrebbero girare il logo in comodato d’uso gratuito.
Questo, in ogni caso è uno scenario possibile, ma ancora da venire. Il presente del Salone del Libro, le ultime notizie della crisi, sono declinati dalle dimissioni di Bray dal Circolo dei Lettori, l’ente (ora in carico alla Regione, con probabile ingresso imminente del Comune di Torino) che dovrebbe gestire la fiera. Ha lasciato ufficialmente per motivi personali (in corsa, per rimpiazzarlo, sarebbero Carlo Ossola, Alessandro Baricco, Gian Arturo Ferrari). Di sicuro pure sul Circolo si è abbattuta la bufera di un’inchiesta giudiziaria, per presunte malversazioni. Ormai un classico nel panorama culturale subalpino: dopo lo scandalo del Premio Grinzane Cavour, ecco i guai della liquidata Fondazione per il Libro, del Teatro Regio e ora del Circolo dei Lettori.
DI FRONTE A QUESTA situazione, gli enti pubblici – il Comune della sindaca Chiara Appendino, la Regione di Sergio Chiamparino – si dicono fiduciosi e sventagliano rassicurazioni. Per Ernesto Ferrero, invece, “il problema sta nel manico”. Ovvero nell’incapacità degli attori principali di fare funzionare bene e con i conti a posto le grandi manifestazioni culturali: dagli enti pubblici, principali responsabili dell’insipienza, alle fondazioni bancarie che pure sborsano quattrini.