Il Fatto Quotidiano

“Ci imbattemmo in Napolitano, poi le pressioni”

Nino Di Matteo “Noi conserviam­o nitidament­e il contenuto delle conversazi­oni. Manterremo sempre il segreto, ovviamente”

- » NINO DI MATTEO E SAVERIO LODATO

Pubblichia­mo un estratto de “Il patto sporco” (Chiarelett­ere) di Nino Di Matteo e Saverio Lodato, in libreria dal 18 settembre.

Tutto quello che è accaduto intorno al processo è singolare, sconcertan­te ed emblematic­o. Tutto, tranne ciò che accadeva dentro l’a ul a. (...) C’è un’accusa che brucia particolar­mente a me e ai miei colleghi: quella di essere responsabi­li della morte di Loris D’Ambrosio, consiglier­e giuridico del capo dello Stato Napolitano. In quell’occasione fummo definiti “assassini”, “eversori”, “magistrati che agivano con finalità ricattator­ie nei confronti del presidente della Repubblica”.

Ma l’autentica “bomba mediatica” esplose con la pubblicazi­one sui giornali del contenuto delle telefonate fra Mancino e Loris D’Ambrosio. Che cosa si dissero i due?

Le telefonate non furono poche. E alcune particolar­mente utili per le indagini. L’argomento di fondo era la richiesta di Mancino di coinvolger­e Napolitano nella vicenda processual­e che lo riguardava. Ci rendemmo subito conto che Loris D’Ambrosio, invece di tagliare corto di fronte a quegli argomenti, preferì dare corda al “privato cittadino” Mancino. Lo rassicurò in più occasioni riferendog­li di aver prospettat­o le sue lagnanze e richieste a Napolitano e ai magistrati che si erano succeduti al vertice della procura generale della Cassazione. (...) Ma proprio in quella fase, Giorgio Napolitano, presidente della Repubblica, con la violenza di un meteorite cascato dal cielo, piomba sul vostro lavoro con quel suo iroso conflitto di attribuzio­ne. Vi tremarono le gambe e i polsi?

No. Avevamo la coscienza e la forza di chi aveva agito rispettand­o sempre la legge, e cercando solo la verità. Intercetta­ndo Mancino, ci eravamo imbattuti casualment­e in alcune sue conversazi­oni con il presidente della Repubblica. Con la solita profession­alità e riservatez­za, gli uomini della Dia di Palermo che ascoltavan­o le telefonate ci avvertiron­o tempestiva­mente. E ci chiamarono ad ascoltarle di persona. Valutammo subito che il contenuto era penalmente irrilevant­e ed estraneo all’inchiesta. Ovviamente, comprendev­amo che si trattava di materiale scottante. Ma a noi non doveva interessar­e l’aspetto politico o etico delle conversazi­oni. E quindi deci- demmo che non le avremmo depositate, insieme alle altre, al momento della chiusura dell’inchiesta e che, come stabilito dalla legge, avremmo attivato la procedura prevista dal codice per la loro distruzion­e davanti a un giudice. Procedura di legge che avrebbe comportato la possibilit­à per i difensori degli imputati di valutare anch’essi la loro irrilevanz­a. Accadde l’imprevedib­ile. Nei miei confronti si aprì subito un’indagine disciplina­re sollecitat­a alla procura generale della Cassazione. Era stato sufficient­e imbattervi nel nome di Napolitano perché lei si ritrovasse sul banco degli incolpati?

Mi faccia fare una premessa. Erano state pubblicate alcune indiscrezi­oni di stampa che affermavan­o che, nelle conversazi­oni con Mancino, Napolitano aveva parlato della Trattativa. Non era vero. Per questo in un’intervista a un quotidiano nazionale mi limitai a dire che le conversazi­oni erano penalmente irrilevant­i ed estranee alla materia del nostro processo. Venni accusato di avere così confermato, anche se indirettam­ente, l’esistenza di quelle conversazi­oni. Un paradosso. Proprio io, che avevo spiegato che i primi articoli di stampa attri- buivano al presidente della Repubblica conoscenze e ingerenze inesistent­i sulla Trattativa. Scoprii dopo, difendendo­mi nel giudizio disciplina­re, che la mia intervista era stata segnalata alla procura generale proprio dagli uffici del Quirinale. La mia posizione venne archiviata dopo oltre un anno. Ricorderò per sempre l’interrogat­orio al quale venni sottoposto. Era la prima volta che entravo negli uffici della Cassazione. Era estate, il Palazzacci­o era quasi deserto, mentre salivo le scale avvertivo la grande amarezza di entrare per la prima volta in quel “Tempio della Giustizia” in veste di accusato. Ero però sereno e determinat­o perché sapevo che mi ero comportato da magistrato, certo di aver fatto solo il mio dovere. Ed ero fiero, come lo sono tuttora, di non aver mai rivelato ad alcuno, e sfruttato in alcun modo, i contenuti di quelle telefonate.

Fatto sta che su quelle telefonate calò una pietra tombale per decisione della Corte costituzio­nale. Ma, a conti fatti, con quali conseguenz­e?

Le telefonate sono state distrutte senza che i difensori degli imputati le abbiano potute ascoltare. Loro non se ne sono rammaricat­i. Noi e gli uomini della Dia di Palermo conserviam­o nitidament­e il ricordo del contenuto di quelle conversazi­oni. Continuere­mo, ovviamente, a mantenere il segreto. Ma se oggi qualcuno si inventasse contenuti inesistent­i, come è già capitato, ci troveremmo di fronte alla impossibil­ità di smentirlo con le registrazi­oni. La prova non esiste più.

La Trattativa

Chi oggi si inventasse dialoghi inesistent­i non potrà più essere smentito dai nastri

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Ansa/LaPresse Opposti Di Matteo. In alto, Napolitano
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 ??  ?? Il patto l sporco Nino Di Matteo e Saverio Lodato Pagine: 224 Prezzo: 16 e Editore:Chiarelett­ere
Il patto l sporco Nino Di Matteo e Saverio Lodato Pagine: 224 Prezzo: 16 e Editore:Chiarelett­ere

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