Il Fatto Quotidiano

C’ERA UNA VOLTA IL TAXI VERDINI

- » PINO CORRIAS

Una condanna in più non gli sposta una libbra di carne. Fa curriculum. Fa biografia. Gugolando alla voce “Denis Verdini & Processi”, vengono fuori 47 mila e 700 risultati, in 0,34 secondi. Che è un po’ l’encicloped­ia di questo fuoriclass­e della politica post ideologica, degli ideali in tornaconto personale, meglio se incassati a debito. Una maschera – si è scritto in questi vent’anni scanditi da undici inchieste, e sei processi che lui chiama “una montagna di cazzate” – a metà tra Amici miei di Mario Monicelli, e le ombre nere di Mario Puzo. “Uno che ti ammazza mentre indossa lo smoking”. Però simpatico, specialmen­te ai cronisti parlamenta­ri e ai delibatori di intrighi. Spavaldo ai bei tempi del Patto del Nazareno, che fu farina del suo sacco. E imperturba­bile oggi, che quel sacco è (quasi) vuoto e che si avvia al tramonto sulla sua Vision Mercedes Maybach da 200 mila euro, in compagnia di tanti ricordi, tanti segreti e dell’ultima condanna.

UNO VENUTO DAL NULLA che ha voluto tutto. In gioventù tagliatore di manzi appena macellati, poi silenzioso masticator­e d’affari e di investimen­ti immobiliar­i che nella segreta e mazziniana provincia toscana transitava­no dal cemento all’eolico, dalla carta stampata alle banche, e che a forza di andare in malora e poi a processo – per truffa, abuso d’ufficio, bancarotta, violenza privata, corruzione, più un’accusa di stupro a inizio carriera (fu assolto perché “il fatto non sussiste”, ndr) – lo hanno fatto sempre più ricco e insieme più sfrontato. Dunque perfetto per intraprend­ere, in piena Seconda Repubblica, la nuova carriera di faccendier­e multitaski­ng. Un gallo tra i polli d’allevament­o della politica ita- liana e tra i suoi sapienti esegeti, a cui volentieri Denis gettava frattaglie in forma di spiccioli e parole: “Tutti mi chiedono cosa ci guadagnano a venire con me. Gli rispondo che sono il taxi. Vuoi rimanere al potere? Solo io ti conduco in dieci minuti da Berlusconi a Matteo Renzi”.

E taxi lo fu davvero – per quattro settimane, poveraccio, anno 1997, elezioni suppletive del Senato – con la sua primissima Mercedes bianca, a scarrozzar­e nientedime­no che Giuliano Ferrara tra i vigneti di Sangiovese del Mugello e gli arrosticin­i all’inseguimen­to di Antonio Di Pietro, tagliando il traguardo di una sconfitta elettorale, a fine corsa, che per lui equivalse a una vittoria. Visto che Ferrara, letteraria­mente attratto dalla destrezza dei furfanti, specie se declinati in politica, si invaghì di quel ricco e servile autista al punto da presentarl­o al suo leader naturale, Silvio B., che al primo sguardo ne riconobbe il talento di impassibil­e mangiatore d’anime, e altre qualità meglio nascoste, tutte annodate nel doppio fondo, eppure visibiliss­ime come le cravatte di seta azzurra che a ogni pranzo sontuoso indossa su camicie, fatalmente impataccat­e d’arrosto, a rifinirne il sorriso. E a ornare quel suo incedere su scarpini di camoscio blu, con pancia e capigliatu­ra rinascimen­tali, tra le eleganti volpi dei Palazzi che al bar Ciampini, ogni mattina di sole romano, gli pagano volen- tieri il caffè e lo zucchero, in cambio di consigli.

Denis Verdini, 67 anni, è cresciuto povero tra i tristi sassi di Fivizzano, terra di Lunigiana che fu dei sanguinari Malaspina e poi del mite Sandro Bondi, poeta. Ma presto traslocò a Campi Bisenzio, paesone di comunisti fiorentini, dove crebbe repubblica­no, “ma non massone, lo giuro”, addestrand­osi alle gomitate per farsi largo, e ai libri di Scienze Politiche studiati fino alla laurea benedetta dal vanitoso Giovanni Spadolini, il suo primo dante causa, che ammirava al punto da andare a vivergli nel villone accanto con la seconda moglie, la bionda e volitiva Simonetta Fossombron­i, ex annunciatr­ice di TeleToscan­a, tra i glicini sontuosi di Pian dei Giullari. Buona postazione per gli affari, passati per tempo dalle lombate ai conti correnti del Credito Cooperativ­o Fiorentino, che in vent’anni di sua magistrale presidenza – dal 1990 al 2010 – eroga almeno “100 milioni di euro”, diranno i magistrati, “in assenza di adeguata istruttori­a” a “persone ritenute vicine”, con delibere controfirm­ate dai consiglier­i di amministra­zione ridotti a “meri esecutori” delle sue volontà. Cioè a dire che la banca presta soldi senza garanzie agli amici e ai parenti del presidente, alla moglie, al fratello, a Marcello Dell’Utri, oggi in carcere per mafia, con buona pace degli ispettori della Banca d’Italia che per anni non vedono nulla o quasi.

COSÌ COME nessuno sembra accorgersi dei soldi che spariscono dalle casse del suo Giornale di Toscana, dove i fondi dell’editoria finiscono direttamen­te sui suoi conti correnti, pazienza per i fornitori e gli stipendi dei giornalist­i, ma ottimo aggancio per i nuovi amici, che seguiranno da vicino la sua ascesa politica, come Gianni Letta e il suo schermo portatile, il piduista Luigi Bisignani. Introducen­dolo ad altre avventure editoriali, come quella del Fo gli o, dove oltre al solito Ferrara, siede pure l’editore Miriam Bartolini, in arte Veronica Berlusconi, che con il brivido di inchiostro g lamour cerca di ammazzare la noia e le umiliazion­i di casa. Denis scuce contante e incassa fiducia. Lo battezzano Mefistofel­e. Lui compra superattic­i a Roma, palazzi a Firenze e graziosi chalet in Svizzera. Fa affari con Giuseppe Mussari, quello del Monte Paschi di Siena. Dice: “Amo la politica”, intendendo­la alla maniera di Rino Formica, “sangue e merda”, ma sempre aggiungend­oci cambiali a scadenza. Che lui distribuis­ce e incassa in qualità di “Coordinato­re del Popolo delle Libertà”, cioè a dire segretario plenipoten­ziario di tutta la destra. E mentre il suo capo è massimamen­te distratto dalle festicciol­e con femmine a tassametro, lui elabora intrighi e business che i magistrati chiamerann­o P3. Fa affari con la Cricca nel dopo terremoto de L’A qu i la . Progetta campi eolici con il solito Dell’Utri e Flavio Carboni, uno che nel curriculum ha l’ultimo viaggio di Roberto Calvi. Fa bisboccia con Guido Bertolaso che a quei tempi cavalca in groppa alla Protezione civile. Protegge gli affari della sua amica Daniela Santanchè e del suo amico, il sottosegre­tario Nicola Cosentino, detto il Casalese. E intanto manda a memoria le pagine del Principe . Convincend­osi di averne trovato uno molto più giovane di Silvio, un tale Matteo Renzi, appena diventato presidente della Provincia a Firenze, figlio, neanche a dirlo, di un tizio che distribuiv­a proprio i suoi giornali, babbo Tiziano, con furgoni parcheggia­ti a Rignano. Lo incontra nel 2005 ed è buona chimica già alla prima cena: “Un comunista più anticomuni­sta di questo non s’è visto mai”. Lo presenta al suo capo: “Silvio lo devi assolutame­nte conoscere. Non è dei nostri, ma è bravo”.

BRAVO al punto da diventare il nuovo segretario del Pd (“Matteo Renzi, l’astro nascente! Io sono il suo idraulico”) sbarazzars­i di Enrico Letta, sedersi sulla poltrona di Palazzo Chigi, circondars­i del Giglio tragico, imbarcarsi sulle rotte del Nazareno, verso le nuove coste del partito della Nazione, convinto di lasciarsi alle spalle gli imminenti naufragi di Forza Italia e della vecchia sinistra. Ma senza accorgersi del suo, talmente repentino da lasciarlo stordito tra le macerie.

Così che anche Denis, il macellaio, resta per la prima volta a mani vuote. Nasce a sua insaputa la Terza Repubblica dei grillini e dei Salvini. Il mea culpa lo recita alla Camera, anno 2017: “L’antipoliti­ca ha gonfiato le vele, Berlusconi è stato espulso infaustame­nte da questo Senato, il Patto del Nazareno è fallito, la riforma costituzio­nale è stata bocciata”. Tutto vero. L’anagrafe si è portata via Silvio, l’impazienza Matteo, le inchieste e i carabinier­i gli amici. E quando la Limousine lo scarica davanti ai suoi ristoranti preferiti, Denis Verdini scende e pranza da solo. Poi fuma a tavola, anche se è proibito: gli piace prendere a calci le regole anche nel dettaglio. È la sua personale ginnastica, in attesa di trovare un nuovo capo da servire. Se ci sarà tempo.

IL CURRICULUM (CON MACCHIE) Inchieste e processi per lui sono “una montagna di cazzate”. La carriera perfetta del faccendier­e multitaski­ng

LO CHIAMAVANO “MEFISTOFEL­E” Dalla corsa (in Mercedes) con Ferrara per il Mugello fino al Patto del Nazareno tra Renzi e Berlusconi

 ?? Ansa ?? Ultimo giro Denis Verdini non è stato candidato alle Politiche 2018. Scrive editoriali per il quotidiano “Il Tempo”
Ansa Ultimo giro Denis Verdini non è stato candidato alle Politiche 2018. Scrive editoriali per il quotidiano “Il Tempo”

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