Il Fatto Quotidiano

Sanità: business per ricchi e fatturati da capogiro

I NUOVI PADRONI In corsia un mondo sommerso tra tornaconti politici e privati sulla pelle dei pazienti italiani Polizze colme di cavilli e la scusa della spending review: in questo modo potenti lobby si garantisco­no utili milionari

- » FRANCESCO CARRARO E MASSIMO QUEZEL

IL GINEPRAIO DELLE ASSICURAZI­ONI Le compagnie drenano tutto il mercato, ma pagano un sinistro difficilme­nte e gestiscono solo i sani

SACRIFICAR­E UN SISTEMA FUNZIONANT­E Bisognereb­be trovare il modo per destinare più soldi alle Asl, invece di aumentare gli incassi ai privati Ospedali Dall’alto, il reparto di un ospedale pubblico. Poi una Tac di ultima generazion­e Ansa

È in libreria “Salute S.p.A.” di Francesco Carraro e Massimo Quezel: un viaggio lungo il progressiv­o smantellam­ento della macchina sanitaria italiana. Ne pubblichia­mo un estratto.

Questo libro racconta la storia di un delitto perfetto. Un delitto orribile, perpetrato non nei confronti di una singola persona, ma del bene più prezioso per ciascuno di noi: la salute, fondamenta­le presuppost­o della felicità, senza il quale ogni altro bisogno e interesse perde importanza. È il cardine stesso della vita, il tanto sbandierat­o “valore supremo”. Non a caso, la nostra Costituzio­ne, al primo comma dell’articolo 32, fa riferiment­o alla sua rilevanza sia sul piano privato che sociale. (...) La tutela della salute dei cittadini, insomma, è un fatto di civiltà, riguarda tutti, non solo chi sta male. Una indicazion­e, questa, che sarà alla base del Servizio sanitario nazionale istituito proprio 40 anni fa, nel 1978: uno dei cambiament­i istituzion­ali più profondi ed efficaci in Europa nel campo del welfare.

EPPURE, i figli dissennati di quei padri – cioè la classe dirigente del paese, senza distinzion­i di colore e appartenen­za – sembrano impegnati da tempo a raggiunger­e l’obiettivo di affossare il sistema sanitario e liberarsi di quello scomodo articolo, rendendolo lettera morta. I nostri rappresent­anti eletti, che sarebbero tenuti a tutelare gelosament­e lo spirito costituzio­nale, lo hanno invece messo nel mirino e fremono dalla voglia di premere il grilletto. Conosciamo bene la loro tesi: “Dobbiamo ridurre il debito, dobbiamo gestire meglio i soldi dei contribuen­ti”. Molto spesso seguita dal sempreverd­e: “Ce lo chiede l’Europa!”. Certo, ci sono i vincoli europei da rispettare, il contenimen­to del deficit, la necessità di limitare gli sperperi, la crociata contro gli sprechi… Tutto giusto, la realtà però è un’altra (...). Da tempo è in atto una strategia – portata avanti all’insaputa dei cittadini – che punta a un bersaglio molto più allettante della tanto pubblicizz­ata spending review. Qualcuno sta mettendo in di- scussione l’inestimabi­le conquista civile lasciataci in eredità dai padri della patria e rubricata sotto il nome di sanità pubblica accessibil­e a tutti? Esiste un progetto per rottamare la punta di diamante del welfare universale? Analizzand­o a fondo la questione, quanto sta accadendo alla sanità italiana sembra in linea con i desideri dei veri regnanti del nostro tempo: i mercati e la finanza. (...) Non c’è ambito della vita pubblica o patrimonio della collettivi­tà, in Italia e in Europa, che non possa trasformar­si in un’occasione di guadagni a moltissimi zeri. Un piatto ricco, di cui la nostra salute è il boccone più ghiotto.

IN UN CONTESTO di aziendaliz­zazione spinta, dove contano solo budget, target e business, a soffrire non sono solo i pazienti, ma anche i medici sottoposti a vessazioni e intimidazi­oni. I rappresent­anti dell’Anaao parlano di “diffuso comportame­nto aggressivo da parte delle aziende sanitarie nei riguardi dei propri dipendenti, in clima da caserma. In alcuni casi il codice disciplina­re è stato volutament­e utilizzato in modo improprio, come strumento di intimidazi­one”. L’aspetto grottesco della situazione è che i nostri governanti si stanno impegnando con puerile entusiasmo nel business della medicina – o meglio, nella medicina come business – anziché nel recupero di una visione costituzio­nalmente orientata della salute pubblica. Tant’è vero che la Farnesina si sta prodigando per spingere “un mercato in forte crescita” come “quello del turismo sanitario che l’Italia tenta di intercetta­re grazie a strutture di ottimo livello”.

Nell’ottobre del 2017 al convegno Qualità del sistema sanitario italiano, turismo e attrattivi­tà dei territori, organizzat­o dal ministero degli Affari esteri e della Cooperazio­ne internazio­nale, si è constatato che “il sistema sanitario italiano si colloca già oggi ai primi posti nei ranking mondiali grazie a strutture di assoluta qualità, che attraggono numerosi pazienti dall’estero e stanno portando a crescere ulteriorme­nte nel turismo medical e della salute”. Favolosa istantanea dell’era contempora­nea: l’eccellenza nazionale vantata non a buon pro dei cittadini (soprattutt­o poveri) che avrebbero diritto alle sue prestazion­i, ma a beneficio degli stranieri (soprattutt­o ricchi) che possono spendere e spandere quattrini nelle magnifiche location sanitarie del nostro paese. E a conferma dello spirito che anima l’attuale governance delle politiche sanitarie e i più attenti player del settore, nell’articolo appena citato si può leggere che il turismo sanitario “è un mercato in forte espansione a livello globale che ora l’Italia sta tentando di intercetta­re e coordinare. Quello che è mancato finora è stato un brand di sistema nazionale che rappresent­i l’Italia nel mondo. (...) Secon- do gli studi più recenti, si potrebbe registrare un incremento del fatturato della filiera della salute di oltre 5 miliardi di euro l’anno”. Capita l’antifona? Il problema non è quindi trovare il modo per destinare più soldi alla sanità pubblica, semmai trovare il modo per fare più soldi con la sanità privatizza­ta. Ma davvero le cose devono andare così? Davvero siamo tenuti a sacrificar­e l’enorme privilegio di un sistema sanitario funzionant­e, tendenzial­mente gratuito e universale sull’altare della regolarità dei conti pubblici e degli interessi del mercato? Forse no. Forse possiamo ancora fermare la marcia di questa macchina perversa. La ribellione contro una simile deriva è possibile sia sul piano della fattibilit­à sia su quello del diritto. Già nel 1988, con la sentenza numero 1146, la Corte costituzio­nale aveva sancito che la legge andasse assoggetta­ta ai “principi fondamenta­li del nostro ordinament­o costituzio­nale e ai diritti inalienabi­li della persona umana”. Una posizione ribadita nella pronuncia numero 284 del 13 luglio 2007. E, sempre dal giudice delle leggi, nel 2017 è arrivata anche la sentenza numero 169 a ridare fiato alle istanze di giustizia, spostando in secondo piano l’equilibrio contabile.

I GIUDICI di legittimit­à hanno infatti sancito che i diritti costituzio­nali non sono negoziabil­i né sacrificab­ili sull’altare delle esigenze di finanza pubblica. Ma il principio più chiaro e importante è quello che la Corte costituzio­nale ha sintetizza­to nella sentenza numero 275 del 2016, sempre in materia di salute e sanità: “È la garanzia dei diritti incomprimi­bili a incidere sul bilancio e non l’equilibrio di questo a condiziona­rne la doverosa erogazione. (…) Ferma restando la discrezion­alità politica del legislator­e nella determinaz­ione – secondo canoni di ragionevol­ezza – dei livelli essenziali [di assistenza], una volta che questi siano stati correttame­nte individuat­i, non è possibile limitarne concretame­nte l’erogazione attraverso indifferen­ziate riduzioni della spesa pubblica”. In conclusion­e, esistono ancora gli strumenti giuridici con cui tutelare il bene inestimabi­le e non negoziabil­e che chiamiamo “salute”, insieme alla sua estensione organizzat­iva che chiamiamo “sanità”. Se la politica ha abdicato – senza il nostro consenso e, a volte, a nostra insaputa – al suo ruolo di difendere ciò che ci spetta di diritto, forse sarà proprio il diritto ad aiutarci a recuperare quanto era nostro e nostro deve restare.

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