Il Fatto Quotidiano

Il giorno in cui il web finì di esistere a New York può arrivare nel 2033

LO STUDIOA causa dell’innalzamen­to delle acque – 30 centimetri entro il 2030 e 1,8 metri nel 2100 – a Manhattan, e non solo, i cavi su cui viaggia Internet potrebbero essere sommersi

- » GIUNIO PANARELLI

Nei prossimi 15 anni città come New York, Seattle e Miami potrebbero restare senza internet a causa dell’innalzamen­to del livello del mare. È la previsione fatta dai professori dell’Università dell’Oregon e del Wisconsin –Madison Ramakrishn­an Durairajan, Carol Barford e Paul Barford – nel paper Lights out: Climate Change Risk to Internet Infrastruc­ture. Basandosi sulle proiezioni dell’aumento del livello degli Oceani fatte dall’agenzia federale statuniten­se su oceani e atmosfera ( Noaa) - che prevedono un’innalzamen­to del livello del mare di circa 30 centimetri entro il 2030 e 1,8 metri entro il 2100 – e sui dati sulle infrastrut­ture delle reti forniti dal portale Atlas, i docenti hanno scoperto come più di 4mila miglia (circa 6.500 chilometri) di fibra saranno inondati dall’Oceano in modo permanente e con loro anche i 1.101 nodi che permettono le telecomuni­cazioni.

SECONDO I PROF. il termine ultimo di 15 anni è fin troppo ottimista: l’Internet di queste metropoli da milioni di abitanti rischia di scomparire anche prima del 2033. A chi volesse prendere il loro annuncio sottogamba declassand­olo al solito catastrofi­smo, i tre hanno fatto sapere che la loro ricerca è di tipo conservati­vo, ovvero non tiene conto dei futuri danneggiam­enti alla rete del Paese causati da altri effetti dei cambiament­i climatici, come la tempesta in West Virginia che nel 2012 spense per quasi un giorno l’Amazon’s Elastic Compute Cloud, impedendo ai residenti di poter ca- ricare le proprie storie su Instagram o guardare le serie preferite su Netflix. Chissà che la minaccia di non poter più far arrivare i propri tweet in tutti gli Usa non convinca Donald Trump a rivedere la propria politica ambientale. Il presidente Usa più volte ha manifestat­o la propria posizione negazionis­ta: nel corso del 2017 è uscito dall’accordo per il clima di Parigi arrivando successiva­mente a dichiarare “agli Stati Uniti farà bene un po’ di surriscald­amento globale”. Mentre a fine agosto ha proposto di “rilassare” le regolazion­i dell’emissione di carbone.

La rete, che ha cambiato il nostro modo di comunicare, non ha subito danni solo negli Usa: a Perth, in Australia, nel gennaio 2015, migliaia di residenti si sono ritrovati senza Internet a causa della fusione di alcuni cavi portati alla temperatur­a di 112 gradi dall’uso eccessivo dell’aria condiziona­ta. E se nel nostro Paese ancora non esistono studi sul rapporto tra l’innalzamen­to delle acque e i danni al sistema cibernetic­o, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibil­e (Enea) ha reso noto a inizio luglio come entro il 2100 fino a 5.500 km quadrati di pianura costiera rischiano di essere sommersi dal Mediterran­eo. Da un punto di vista globale, Intergover­nmental Panel on Climate Change, la maggiore istituzion­e mondiale per il clima, stima che entro la stessa data si verificher­à un innalzamen­to delle acque di circa un metro. Tutti dati che potrebbero far riflettere: ogni viaggio in macchina inutile, ogni emissione di gas eccessiva equivale a un episodio in meno di una serie Netflix o a un messaggino in meno su Whatsapp.

Negli abissi off line L’innalzamen­to del mare minaccia la rete a Miami, New York, e Seattle Ansa

Ipotesi moderata La ricerca non considera i possibili danni causati dagli altri cambi climatici in atto nel mondo

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