UN’ALTRA STORIA DELLA “VITTORIA”
Il colloquio di Salvini e Di Maio, vicepresidenti del Consiglio, con il ministro dell’Economia Tria, è durato un po’ troppo per essere stato cordiale. Sapevamo troppe cose prima. Sapevamo che Tria aveva detto no e aveva ricordato di avere giurato sulla Costituzione di dire quel no. Sapevamo che i due “vicepremier” erano stati pesanti e avevano giurato sulla testa dei loro elettori di stroncare quel no. L’esito era scontato, eppure non un solo commentatore o economista aveva previsto che due persone decisamente incompetenti in economia avrebbero spazzato via il massimo esperto del loro stesso governo, che adesso avrà difficoltà a far credere anche solo le sue generalità quando va in Europa (o dovunque, pensate alla Cina), dicendo di rappresentare l’Italia. Le modalità della lunga conversazione, mentre scende la notte e un altro tipo di buio su Roma, ricordano altre conversazioni, anch’esse poco gentili. In tutti gli eventi duri di questo genere si tratta di far dire all’interrogato dov’è la cassaforte. E quando, dopo molta fatica, gli interroganti si convincono che non c’era una cassaforte, ottengono almeno il bancomat. Infatti in tutti questi casi, l’importante è guadagnare tempo. Qualcosa deve avvenire subito e anche in queste vicende molto diverse si assomigliano. Per esempio, spesso, l’i n- terrogato viene ferito. In questo caso sembra che alla vittima sia stato autorevolmente suggerito di cedere, nonostante la brutalità delle circostanze, testimoniate da frasi dette in pubblico con un certo furore da uno degli interroganti di Tria.
HA DENUNCIATO un piano di sabotaggio dei tecnici contro i politici in atto da anni. Stranamente non ha notato che questa affermazione solleva i politici che vengono prima di lui (cioè gli avversari mortali di Cinque Stelle, detti anche “assassini politici”) dalla accusa di essere responsabili di tutte le colpe elencate nell’ultima campagna elettorale, e che sono ormai la Bibbia del nostro futuro (“sta scritto, dobbiamo farlo”). Dopo “il trattamento Tria” (e senza che il ministro interrogato e sconfitto si sia più visto in pubblico) gli interroganti, benché non abbiano trovato, se non nel debito, i soldi cercati, sono apparsi al balcone del palazzo del governo e hanno salutato la folla da vincitori come in Venezuela (ricordate? Così è cominciata quella storia non lieta: per primo è sceso in piazza il governo, non l’opposizione). Nella notte del trionfo la folla erano un centinaio di persone incerte, convocate in fretta, dopo il cedimento di Tria, per festeggiare la vittoria di un governo contro se stesso. L’intera vicenda, interrogatorio, “vittoria” e festa, è troppo difficile da spiegare, visto che il ministro trattato come avverso e pericoloso resta nella compagine e, almeno all’estero, dovrà presentarsi come ministro dello stesso governo che lo ha sottomesso, come ai tempi dell’autocritica sovietica. Attrae attenzione l’evidente affinità di vicende, fra reddito di cittadinanza e vaccino. In uno si dice: “Noi ci occupiamo delle domande degli italiani, non di quelle dei burocrati d’Europa”, dimenticando certe leggi dell’ec o n om i a su debiti e prestiti. Sarebbe come disprezzare il termometro o la noia di misurare la pressione, perché viene prima il paziente. Nell’altro (vaccini) si dice: “Sono i cittadini a decidere, l’obbligo è a ss ur do ”. Come se fosse assurdo l’obbligo di non attraversare i binari. La frase “prima i cittadini” (ovvero lo slogan razzista “prima gli italiani”) fa un salto di auto-affermazione e auto-celebrazione quando diventa l’annuncio “stiamo abolendo la povertà”.
È UN SALTO pericoloso, specialmente se lo si unisce a tutte le altre abolizioni previste, abolizione delle informazioni, che ciascuno adesso si forma da solo in Rete, guidati dalla Casaleggio associati, abolizione della rappresentanza, sostituita dalla democrazia diretta, abolizione degli esperti, che sono parte di una casta pericolosa, abolizione di chiunque abbia fatto politica “prima di noi perché sono sicuramente indegni”. La elezione, dunque, viene allo stesso tempo demonizzata (è una casta) ed esaltata (al giudice si dice che non lo ha eletto nessuno). Colpisce che tutte queste frasi del “cambiamento” italiano siano identiche a frasi di Bannon e Trump. Alcune si trovano nel discorso di pochi giorni fa alle Nazioni Unite, E certo c’è una quasi identità fra Di Maio (25 settembre ) “Stiamo facendo un gran bene all’Italia e agli italiani” e Trump (24 settembre): “Nessuno ha fatto meglio di noi per gli americani”. E tutti ripetono lo stesso credo: “Bisogna liberarsi del controllo e della dominazione di una governance globale mai eletta, che non rende conto a nessuno”. Ah, e anche la parola d’ordine “Nessuno può contraddire il popolo” (Bannon, Trump, Di Maio, Conte). Chi sta copiando chi? Da dove viene e dove va questa storia? E chi è il vero autore?