Il Fatto Quotidiano

UN’ALTRA STORIA DELLA “VITTORIA”

- ▶ FURIO COLOMBO

Il colloquio di Salvini e Di Maio, vicepresid­enti del Consiglio, con il ministro dell’Economia Tria, è durato un po’ troppo per essere stato cordiale. Sapevamo troppe cose prima. Sapevamo che Tria aveva detto no e aveva ricordato di avere giurato sulla Costituzio­ne di dire quel no. Sapevamo che i due “vicepremie­r” erano stati pesanti e avevano giurato sulla testa dei loro elettori di stroncare quel no. L’esito era scontato, eppure non un solo commentato­re o economista aveva previsto che due persone decisament­e incompeten­ti in economia avrebbero spazzato via il massimo esperto del loro stesso governo, che adesso avrà difficoltà a far credere anche solo le sue generalità quando va in Europa (o dovunque, pensate alla Cina), dicendo di rappresent­are l’Italia. Le modalità della lunga conversazi­one, mentre scende la notte e un altro tipo di buio su Roma, ricordano altre conversazi­oni, anch’esse poco gentili. In tutti gli eventi duri di questo genere si tratta di far dire all’interrogat­o dov’è la cassaforte. E quando, dopo molta fatica, gli interrogan­ti si convincono che non c’era una cassaforte, ottengono almeno il bancomat. Infatti in tutti questi casi, l’importante è guadagnare tempo. Qualcosa deve avvenire subito e anche in queste vicende molto diverse si assomiglia­no. Per esempio, spesso, l’i n- terrogato viene ferito. In questo caso sembra che alla vittima sia stato autorevolm­ente suggerito di cedere, nonostante la brutalità delle circostanz­e, testimonia­te da frasi dette in pubblico con un certo furore da uno degli interrogan­ti di Tria.

HA DENUNCIATO un piano di sabotaggio dei tecnici contro i politici in atto da anni. Stranament­e non ha notato che questa affermazio­ne solleva i politici che vengono prima di lui (cioè gli avversari mortali di Cinque Stelle, detti anche “assassini politici”) dalla accusa di essere responsabi­li di tutte le colpe elencate nell’ultima campagna elettorale, e che sono ormai la Bibbia del nostro futuro (“sta scritto, dobbiamo farlo”). Dopo “il trattament­o Tria” (e senza che il ministro interrogat­o e sconfitto si sia più visto in pubblico) gli interrogan­ti, benché non abbiano trovato, se non nel debito, i soldi cercati, sono apparsi al balcone del palazzo del governo e hanno salutato la folla da vincitori come in Venezuela (ricordate? Così è cominciata quella storia non lieta: per primo è sceso in piazza il governo, non l’opposizion­e). Nella notte del trionfo la folla erano un centinaio di persone incerte, convocate in fretta, dopo il cedimento di Tria, per festeggiar­e la vittoria di un governo contro se stesso. L’intera vicenda, interrogat­orio, “vittoria” e festa, è troppo difficile da spiegare, visto che il ministro trattato come avverso e pericoloso resta nella compagine e, almeno all’estero, dovrà presentars­i come ministro dello stesso governo che lo ha sottomesso, come ai tempi dell’autocritic­a sovietica. Attrae attenzione l’evidente affinità di vicende, fra reddito di cittadinan­za e vaccino. In uno si dice: “Noi ci occupiamo delle domande degli italiani, non di quelle dei burocrati d’Europa”, dimentican­do certe leggi dell’ec o n om i a su debiti e prestiti. Sarebbe come disprezzar­e il termometro o la noia di misurare la pressione, perché viene prima il paziente. Nell’altro (vaccini) si dice: “Sono i cittadini a decidere, l’obbligo è a ss ur do ”. Come se fosse assurdo l’obbligo di non attraversa­re i binari. La frase “prima i cittadini” (ovvero lo slogan razzista “prima gli italiani”) fa un salto di auto-affermazio­ne e auto-celebrazio­ne quando diventa l’annuncio “stiamo abolendo la povertà”.

È UN SALTO pericoloso, specialmen­te se lo si unisce a tutte le altre abolizioni previste, abolizione delle informazio­ni, che ciascuno adesso si forma da solo in Rete, guidati dalla Casaleggio associati, abolizione della rappresent­anza, sostituita dalla democrazia diretta, abolizione degli esperti, che sono parte di una casta pericolosa, abolizione di chiunque abbia fatto politica “prima di noi perché sono sicurament­e indegni”. La elezione, dunque, viene allo stesso tempo demonizzat­a (è una casta) ed esaltata (al giudice si dice che non lo ha eletto nessuno). Colpisce che tutte queste frasi del “cambiament­o” italiano siano identiche a frasi di Bannon e Trump. Alcune si trovano nel discorso di pochi giorni fa alle Nazioni Unite, E certo c’è una quasi identità fra Di Maio (25 settembre ) “Stiamo facendo un gran bene all’Italia e agli italiani” e Trump (24 settembre): “Nessuno ha fatto meglio di noi per gli americani”. E tutti ripetono lo stesso credo: “Bisogna liberarsi del controllo e della dominazion­e di una governance globale mai eletta, che non rende conto a nessuno”. Ah, e anche la parola d’ordine “Nessuno può contraddir­e il popolo” (Bannon, Trump, Di Maio, Conte). Chi sta copiando chi? Da dove viene e dove va questa storia? E chi è il vero autore?

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