Il rischio aumento delle false partite Iva
La doppia aliquota tra problemi sistemici e trattamenti iniqui
Èbella ma non balla o perlomeno zoppica. Il vecchio adagio popolare circola in questi giorni tra tecnici e commercialisti che si stanno esercitando per prevedere i possibili effetti della cosiddetta “flat tax” (non si sa se a due aliquote), che il governo vorrebbe applicare alle partite Iva con la legge di Bilancio.
LA STRADAindicata dagli spin doctor fiscali di Palazzo Chigi è di allargare la platea dei beneficiari del regime forfettario oggi in vigore. Lo scopo proclamato è di alleviare la pressione fiscale sul lavoro autonomo, alzando le soglie dei ricavi ammessi alle agevolazioni. In base alle prime simulazioni emerge che i contribuenti ammessi avranno consistenti benefici fiscali al crescere del reddito. Ma pare che lo stress esercitato sulla vecchia normativa, nata con lo scopo di semplificare gli adempimenti dei piccoli imprenditori e professionisti, crei non pochi rischi sistemici e qualche effetto indesiderato. Per accedere all’attuale regime forfettario si devono dichiarare tetti di ricavi o compensi fino a 25 mila e a 50 mila euro, secondo la tipologia di attività. Inoltre non si deve aver sostenuto spese per avere prestazioni di lavoro su- periori a 5 mila euro e il valore dei beni strumentali al netto degli ammortamenti non deve essere superiore a 20 mila euro. Sul reddito così determinato si applica l’aliquota del 15% o del 5% nel caso di una nuova partita Iva, per cinque anni. Ad avvalersi della forfettizzazione, circa un milione di soggetti che sono fuori dall’applicazione dell’Iva e dall’Irap, degli studi di settore, dei futuri indici sintetici di affidabilità e della fatturazione elettronica in vigore dal prossimo 1° gennaio 2019. Devono solamente numerare e conservare le fatture di acquisto.
UN POSSIBILE aumento della soglia di ricavi a 65 mila euro e a 100 mila euro, tassati con due aliquote al 15 e al 20% farebbe aumentare la platea del regime forfetario, rispettivamente di 1,7 milioni e di 1,95 milioni di soggetti. Il dipartimento per le politiche fiscali della Cna ha provato a fare qualche simulazione. La prima osservazione è che il nuovo regime creerebbe un’ulteriore iniquità a scapito delle imprese più strutturate che non godono degli stessi sconti fiscali e quindi concorrenza sleale.
Può accadere, poi, che per entrare nel regime forfettario si preferisca attivare collaborazioni professionali a scapito del lavoro dipendente e delle collaborazioni a progetto. Così, il nuovo regime incentiverebbe la moltiplicazione delle false partite Iva. Lo stesso per gli investimenti. Molti si porranno il problema se investire oppure no. E arriviamo agli effetti “indesiderati”. Chi entra nel forfetario, in assenza di al- tri redditi soggetti a Irpef, perderà tutte le detrazioni fiscali previste: familiari a carico, spese mediche, ristrutturazione. Sui ricavi oggi previsti per l’accesso ai benefici, diversificati per attività, si calcolano poi diversi coefficienti di redditività previsti per stimare il reddito.
Prevedere un aumento del volume dei ricavi appiattiti sui 65 mila euro o i 100 mila euro per tutte le attività, senza modificare i coefficienti di redditività, potrebbe far tassare redditi inesistenti o consentire la deduzione forfettaria di troppi costi. Inoltre, ogni categoria avrà diversi scaglioni di tassazione a parità di reddito.
Effetti collaterali Chi entra nel forfettario può perdere le detrazioni fiscali: spese mediche o familiari a carico