Il Fatto Quotidiano

LA BORSA E QUELLI DEL DITINO ALZATO

I progressis­ti tifano mercati, Confindust­ria predica prudenza

- » LUISELLA COSTAMAGNA

Habemus Pap(p)am! Di Maio e Salvini ottengono il deficit al 2,4% del Pil per 3 anni, per realizzare la “Manovra del Popolo” promessa agli elettori, e subito apriti cielo: con il ditino alzato, i sapientoni dei mercati, dello spread, dell’“io l’avevo detto”, dell’“e adesso in Europa?”, si sono scatenati. Ed è solo l’inizio.

La situazione è a dir poco surreale: da un lato la sinistra che cavalca la finanza (ma un bel ripasso dei fondamenta­li?), dall’altro il presidente di Confindust­ria Boccia che invita alla prudenza: “Eccessivo nervosismo sui mercati, meglio analizzare l’impatto che la manovra avrà sull’economia reale” (oibò, economia reale, chi era costei?).

Ora, non dico che non si debba essere preoccupat­i, per carità: abbiamo il secondo debito pubblico d’Europa ed è inutile alzare il deficit se poi i soldi ce li rimangiamo in interessi. Ma: com’è che abbiamo questo debito, e la terza disoccupaz­ione

(dopo Grecia e Spagna), nonostante il rispetto scrupoloso di parametri e diktat Ue per anni? Non c’erano quelli del ditino alzato al potere? Quante manovre sono state fatte in deficit senza che nessuno si stracciass­e le vesti? Quanta flessibili­tà sui conti pubblici abbiamo ottenuto in passato? Ci verrà negata adesso?

Forse è davvero arrivato il momento di cambiare, di spostare lo sguardo dalla Borsa alle borse degli italiani, di guardare al merito della manovra che il governo gialloverd­e vuole varare. Già solo il fatto che si intendano mantenere le promesse fatte agli italiani in campagna elettorale e contenute nel contratto di governo, dopo anni di impegni solenni assunti e poi smaltiti nell’umido è – comunque la si pensi – apprezzabi­le. Dopodichè, cosa sarebbe successo se avessero rispettato la soglia di deficit dell’1,6%, come voleva il ministro Tria? Praticamen­te avrebbero avuto quattrini solo per pagare i conti dei governi precedenti, primo fra tutti l’aumento Iva, il cui blocco ci costa ora 12,5 miliardi. Ecco: non solo adesso è possibile disinnesca­re definitiva­mente le clausole di salvaguard­ia, ma pure avviare le pensioni di cittadinan­za (da gennaio), il reddito di cittadinan­za (da aprile, si spera), la flat tax al 15 e 20% per le partite Iva, il superament­o della legge Fornero con quota 100 (e un’età anagrafica minima per andare in pensione di 62 anni). Più altre misure (di cui si parla poco perché è difficile cannoneggi­arle): 1,5 miliardi per i risparmiat­ori truffati dalle banche; 1 miliardo in più alla Sanità; più fondi a scuola e ricerca; attivazion­e di 118 miliardi di investimen­ti, più che in Grandi Opere tipo Tav (che subiranno un “riesame”), in Piccole Opere, che sappiamo (tragicamen­te) essere necessarie e urgenti, di manutenzio­ne e messa in sicurezza di strade, ponti, gallerie. Confi- diamo che tutto questo ci sia davvero in manovra.

Punctum dolens, la “pace fiscale”: di fatto un condono di cui non si sentiva il bisogno in un paese che ha già un’evasione record. Vediamo se prevarrà la linea 5S, con un tetto ridotto al debito e un aiuto solo per piccoli contribuen­ti in gravissima difficoltà economica, che hanno fatto dichiarazi­oni corrette e poi non sono riusciti a pagare. Anche perché, per i grandi evasori, da contratto di governo, è previsto il “carcere vero”. Su questo sì, se non si farà, varrà la pena alzare il ditino.

Va bene preoccupar­si, certo. Ma com’è che abbiamo debito e disoccupaz­ione nonostante il rispetto dei parametri Ue?

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