LA BORSA E QUELLI DEL DITINO ALZATO
I progressisti tifano mercati, Confindustria predica prudenza
Habemus Pap(p)am! Di Maio e Salvini ottengono il deficit al 2,4% del Pil per 3 anni, per realizzare la “Manovra del Popolo” promessa agli elettori, e subito apriti cielo: con il ditino alzato, i sapientoni dei mercati, dello spread, dell’“io l’avevo detto”, dell’“e adesso in Europa?”, si sono scatenati. Ed è solo l’inizio.
La situazione è a dir poco surreale: da un lato la sinistra che cavalca la finanza (ma un bel ripasso dei fondamentali?), dall’altro il presidente di Confindustria Boccia che invita alla prudenza: “Eccessivo nervosismo sui mercati, meglio analizzare l’impatto che la manovra avrà sull’economia reale” (oibò, economia reale, chi era costei?).
Ora, non dico che non si debba essere preoccupati, per carità: abbiamo il secondo debito pubblico d’Europa ed è inutile alzare il deficit se poi i soldi ce li rimangiamo in interessi. Ma: com’è che abbiamo questo debito, e la terza disoccupazione
(dopo Grecia e Spagna), nonostante il rispetto scrupoloso di parametri e diktat Ue per anni? Non c’erano quelli del ditino alzato al potere? Quante manovre sono state fatte in deficit senza che nessuno si stracciasse le vesti? Quanta flessibilità sui conti pubblici abbiamo ottenuto in passato? Ci verrà negata adesso?
Forse è davvero arrivato il momento di cambiare, di spostare lo sguardo dalla Borsa alle borse degli italiani, di guardare al merito della manovra che il governo gialloverde vuole varare. Già solo il fatto che si intendano mantenere le promesse fatte agli italiani in campagna elettorale e contenute nel contratto di governo, dopo anni di impegni solenni assunti e poi smaltiti nell’umido è – comunque la si pensi – apprezzabile. Dopodichè, cosa sarebbe successo se avessero rispettato la soglia di deficit dell’1,6%, come voleva il ministro Tria? Praticamente avrebbero avuto quattrini solo per pagare i conti dei governi precedenti, primo fra tutti l’aumento Iva, il cui blocco ci costa ora 12,5 miliardi. Ecco: non solo adesso è possibile disinnescare definitivamente le clausole di salvaguardia, ma pure avviare le pensioni di cittadinanza (da gennaio), il reddito di cittadinanza (da aprile, si spera), la flat tax al 15 e 20% per le partite Iva, il superamento della legge Fornero con quota 100 (e un’età anagrafica minima per andare in pensione di 62 anni). Più altre misure (di cui si parla poco perché è difficile cannoneggiarle): 1,5 miliardi per i risparmiatori truffati dalle banche; 1 miliardo in più alla Sanità; più fondi a scuola e ricerca; attivazione di 118 miliardi di investimenti, più che in Grandi Opere tipo Tav (che subiranno un “riesame”), in Piccole Opere, che sappiamo (tragicamente) essere necessarie e urgenti, di manutenzione e messa in sicurezza di strade, ponti, gallerie. Confi- diamo che tutto questo ci sia davvero in manovra.
Punctum dolens, la “pace fiscale”: di fatto un condono di cui non si sentiva il bisogno in un paese che ha già un’evasione record. Vediamo se prevarrà la linea 5S, con un tetto ridotto al debito e un aiuto solo per piccoli contribuenti in gravissima difficoltà economica, che hanno fatto dichiarazioni corrette e poi non sono riusciti a pagare. Anche perché, per i grandi evasori, da contratto di governo, è previsto il “carcere vero”. Su questo sì, se non si farà, varrà la pena alzare il ditino.
Va bene preoccuparsi, certo. Ma com’è che abbiamo debito e disoccupazione nonostante il rispetto dei parametri Ue?