La Juve vola, ma perde Marotta Roma, un calcio (di tacco) alla crisi?
I bianconeri battono il Napoli, un assist e un palo per Cristiano Ronaldo. Il derby della Capitale va ai giallorossi
Tre a uno allo Stadium, 3-1 all’Olimpico: è stato il sabato di Juventus e Roma. E di Beppe Marotta: “Non sarò più l’amministratore delegato della Juventus. Le nostre strade si separano. Io presidente federale? Smentisco nella maniera più categorica”. Arrivò nel giugno del 2010. Organizzò la rinascita. Non sono dimissioni: sono ordini dall’alto. Detto della bomba, occupiamoci del resto. Se Di Francesco esce, ufficialmente, dal “d isgustato” del presidente Pallotta, Allegri ribalta Ancelotti e vola a più sei in classifica. Sette su sette. Calcio di stampo inglese, a Torino, con il Napoli che si alza benissimo dai blocchi: palo di Zielinski, gran gol di Mertens.
Ecco: il cazzotto sveglia Madama e Cristiano, soprattutto. Il migliore. Non segna ma è sempre lì, nel cuore delle trame che titillano il destino. Calibra l’assist per l’incornata di Mandzukic, coglie il palo che introduce il bis del croato e smarca, di sponda, Bonucci. Fatti, non parole. Il Napoli non esce ridimensionato. Gli è stato fatale, al 58’, il secondo giallo di Mario Rui anche se per un po’, paradossalmente, in dieci sembrava la Juventus. Molle, sazia, distratta. È stato Szczesny a salvare il risultato (su Callejon) prima che Bonucci sigillasse la pratica. Insigne, Mertens (e poi Milik) hanno finito per sbattere contro gli armadi juventini. A molti tifosi (non tutti, per fortuna) non piace Mandzukic. Si fa un mazzo tanto e continua a distribuire gol, già quattro. È Cristiano che lo fa segnare, e non viceversa: calcio, mistero senza fine bello. E poi Matuidi, e poi Chiellini. Con Dybala sull’altalena, ma prezioso in occasione dell’azione del sorpasso. “Superficial”, così Ancelotti ha chiosato l’operato di Banti.
Resta la sentenza. Spietata. Eppure non esiste al mondo un campionato che possa già considerarsi “m o r to ” il 29 settembre.
Il derby di Roma diventa della Roma grazie a un panchinaro, Lorenzo Pellegrini. Sostituisce Pastore, infortunato, al 37’, spacca l’equilibrio di tacco, dopo un maxi-tamponamento tra Luiz Felipe, El Shaarawy e Strakosha; procura la punizione che, alla ripresa, spalanca la porta a Kolarov; pennella la parabola, sempre su punizione, che libera la sgrullata di Fazio. E tutto da trequartista: il ruolo dell’argentino, non il suo.
Fazio, già. Proprio una sua papera aveva propiziato il pareggio di Immobile. Un Immobile lillipuziano, e comunque più tenace di Milinkovic-Savic e Luis Alberto, Parolo e Marusic. Perché sì, la Lazio si è aggiudicata il primo quarto d’ora e poi, piano piano, si è attorcigliata su se stes- sa. La Roma in crisi, altro non aspettava. Palla lunga (a Dzeko) e pedalare. Mentre Inzaghino era andato sul classico, Di Francesco aveva restaurato la fascia destra, con Santon terzino e Florenzi “ala”, scelta dalla quale la manovra ha ricavato più munizioni che turbolenze.
SUL PIANO delle occasioni, non c’è stata gara: Roma, per distacco. E la Lazio, beh, ogni volta che l’asticella sale, scende: Napoli, Juventus, Roma. Tre sconfitte. È un limite chiaro, che in un campionato di 20 squadre può essere nascosto dalle scialuppe del calendario, ma tale rimane.
Se il gol di tacco di Pellegrini è il terzo stagionale dopo i due di Pastore, Kolarov raggiunge “raggio di luna” Selmonsson, capace di marchiare un derby indifferentemente con entrambe le maglie. Questa non è cronaca: è storia.