Il Fatto Quotidiano

Ungheria, stretta sui media “Ora è come coi comunisti”

Il primo ministro sta spingendo oligarchi amici all’acquisto di quanti più media possibile: hanno già cambiato proprietà 550 giornali, 20 canali televisivi e 11 radio. E chi non si adegua ha problemi

- » COSIMO CARIDI

Un enorme ficus, alto quasi cinque metri, ha il posto d’onore nel grande open space dove lavorano 60 giornalist­i: la redazione di Index. Ma tutto sta per cambiare. La proprietà del più grande, e influente, giornale online dell’Ungheria è passata di mano pochi giorni fa. “Da un’oligarca vicino a un altro molto vicino al governo – spiega Gabor Miklòsi, caporedatt­ore del quotidiano web – ma in mezzo c’è una fondazione e tutta la questione di chi comanda e dove verremo spostati rimane oscura”.

IN QUESTO momento ogni cambio di proprietà dei media viene percepito, dalla società civile ungherese, come un tentativo del governo per ottenere maggiore controllo dell’informazio­ne e mitigare i contenuti pubblicati. Dal 2010, quando Fidezs, il partito di Viktor Orbán, ha vinto le prime elezioni, il Paese è sceso di 50 posizioni nella classifica, redatta annualment­e da Reporter senza frontiere, della libertà di stampa.

“Se io non potrò continuare a lavorare qui – dice Miklòsi – perché Index perderà indipenden­za, allora non potrò fare il mio mestiere in nessun altro posto. Ci sono altri media indipenden­ti, però non riescono a crescere. Il mercato è distorto dallo stesso gove rn o”. Orbán sta incoraggia­ndo gli imprendito­ri che gli sono vicino a comprare più media possibile. Questa spinta a omogenizza­re l’editoria cancella, di fatto, la diversità che ha caratteriz­zato la stampa ungheresi dalla transizion­e del 1989. L’impression­e di Miklòsi è che “stia tornado lo Stato-partito. Ero bambino sotto il comunismo, ma ora, da giornalist­a adulto, è molto duro vedere che la libertà di stampa viene, a poco e poco, cancellata”.

Sono in mani amiche del governo, oltre alle maggiori television­i commercial­i nazionali, tutti i giornali regionali. A chiudere il cerchio c’è un mercato pubblicita­rio viziato. I piccoli editori non ricevono sovvenzion­i statali, ma “l’80/90 percento delle loro entrate pubblicita­rie – spiega il giornalist­a di Index– arriva da campagne governativ­e”. Pubblicare un articolo contro l’esecutivo vorrebbe dire andare a perdere la fonte di sostentame­nto dei giornalist­i stessi. Non c’è bisogno di censura in un sistema che fa dell’autocensur­a l’unica possibilit­à di riceve un salario.

La volontà di addomestic­are la stampa fa parte del programma di Orbàn sin dal suo primo giorno di governo. Da quando ha preso il potere hanno cambiato proprietà: 11 radio, 20 canali televisivi e 550 giornali . Tutti sono passati nelle mani di uomini d’affari vicini all’esecutivo.

LO SCORSO MESE è toccato a Hir Tv. Uno dei nuovi proprietar­i, Zsolt Nyerges, la mattina stessa in cui veniva resa nota la notizia, ha rassicurat­o la redazione dicendo che nessuno avrebbe mai interferit­o con il lavoro dei giornalist­i. Quella sera non è andato in onda il telegiorna­le e nemmeno l’approfondi­mento politico, uno dei programmi di punta della rete. Al loro posto è stato trasmesso, a ripetizion­e, un recente discorso del capo del governo.

Il tentativo di controllo non si ferma ai soli media nazionali. A inizio maggio Magyar Idök, un quotidiano con ampia diffusione, ha pubblicato un articolo critico verso il lavoro di diversi corrispond­enti internazio­nali. Sono stati citati i giornalist­i di Der Spie- gel (Germania), Dar Standard (Austria), Libération (Francia), Tages-Anzeiger (Svizzera). “Il governo ungherese – si poteva leggere nel pezzo – dovrebbe considerar­e delle azioni di risposta al servile lavoro di Keno Verseck, Gregor Mayer, Bernhard Odehnal, Florence La Bruyère e tutti gli altri corrispond­enti da Budapest che diffondono le più abominevol­i menzogne”. I giornalist­i, contrariam­ente alla richiesta del quotidiano, non sono stati espulsi, ma aver pubblicato una lista, averli schedati pubblicame­nte, è servito a intimidirl­i e a rendere sempre più difficile il loro lavoro. Magyar Idök appartiene a Lörinc Mészáros, uno degli uomini più ricchi dell’Ungheria nonché amico d’infanzia di Orbán. Mediaworks Holding, la società di Mészáros, possiede i due terzi dei giornali locali ungheresi. “In Ungheria – continua Miklosì – come in molti altri Paesi, la libertà di stampa è legata al livello di scolarizza­zione della popolazion­e. Chi vive nelle grandi città tende a essere più attento a un’informazio­ne di qualità: ha un migliore acceso a internet e ad attività culturali, ha a disposizio­ni più fonti, dai giornali online a quelli stranieri. Le persone che invece, hanno avuto un breve percorso scolastico, hanno meno possibilit­à di informarsi, di avere un’idea completa su quanto accade”. In quest’ultimo caso i giornali locali e i telegiorna­li sono le uniche possibili fonti di notizie. Con una campagna lunga anni, che mischia antisemiti­smo, criminaliz­zazione delle ong, notizie false, islamofobi­a e xenofobism­o il governo è stato molto bravo a stigmatiz- zare i media indipenden­ti. Per Miklosì alcuni temi sono stati trattati “dalla stampa di propaganda con molta forza, creando una falsa percezione. Per esempio al momento non c’è un problema sulla questione migratoria, anche se si continua a parlare di invasione”. In Ungheria, che ha una popolazion­e di 10 milioni di abitanti, la quota di richiedent­i asilo fissata da Orbàn e di 5 mila profughi l’anno, lo 0,0005% dei cittadini.

“DA TEMPO il governo ripete senza sosta – dice Blanka Zöldi, giornalist­a investigat­iva in forza alla redazione di Direkt36– che in Ungheria non c’è posto per stranieri, soprattutt­o per chi scappa da guerre e persecuzio­ni. Contempora­neamente, lo stesso primo ministro, ha allestito il programma ‘visti d’oro’. Si tratta di una struttura legislativ­a che permette a investitor­i stranieri di ottenere diversi tipi di documenti: dalla residenza alla cittadinan­za ungherese”. C’è un vero e proprio tariffario ministeria­le, con 250 mila euro si ottiene la residenza, per la cittadinan­za oltre il doppio. “Questi soldi non vanno direttamen­te al Stato – continua la Zöldi – ma passano da un ristretto gruppo di aziende con sede legale in paradisi fiscali. Stiamo parlando di quasi 20 mila casi, ognuno dei quali ha pagato tra i 20 e i 30 mila euro per il servizio a ditte offshore. Non sappiamo chi ha veramente beneficiat­o di questi soldi, ma diverse inchieste giornalist­iche collegano le imprese d’intermedia­zione con l’élite politica di Budapest”.

La risposta dei media vicini al regime ungherese, la maggior parte, all’inchiesta di Direkt36 è stata una forte campagna contro la redazione. “Non abbiamo ricevuto alcuna pressione dal governo – conclude la giornalist­a – ma siamo messi sotto torchio da altri giornali. Con una gestione così falsata dell’informazio­ne la grande sfida di questa redazione è quella di non diventare un gruppo di attivisti, di non essere contro il governo a priori. Dobbiamo continuare a raccontare quanto accade senza alcun pregiudizi­o”.

ATTACCHI ALLA STAMPA ESTERA

Un quotidiano pro governo ha pubblicato l’elenco degli indesidera­ti: fra gli altri Der Spiegel e Libération

LINEE EDITORIALI SENZA VERGOGNA Hir tv è stata venduta e “uccisa” lo stesso giorno: niente tg, trasmesso un comizio del premier Sta tornando lo Statoparti­to Ero bimbo ai tempi del comunismo ed è dura adesso vedere la libertà restringer­si GABOR MIKLÒSI Per una nostra inchiesta siamo stati messi sotto torchio da colleghi di altri media molto vicini al potere, ma non ci fermiamo BLANKA

ZÖLDI

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Ansa / C. Car. Autoritari­o Sopra, il premier Viktor Orbán e il giornalist­a di “Index” Gabor Miklòsi
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