Il Fatto Quotidiano

QUEL CARTELLO CHE EQUIPARA MIGRANTI E CERVI

Il cartello commission­ato dalla California, feticcio per i collezioni­sti, mette i messicani in fuga sullo stesso piano dei cervi: irresponsa­bili e pericolosi per gli automobili­sti. Un’immagine che rivela molto di noi

- » SALVATORE SETTIS

L’iconografi­a

non è scienza esatta, ma qualcosa dice. Il segnale stradale che invita gli automobili­sti alla prudenza per non travolgere le famiglie che attraversa­no l’autostrada fu commission­ato nel 1989 a un grafico indo-americano.

Jiconograf­ia non è una scienza esatta, ma qualcosa dice. Il segnale stradale che invita gli automobili­sti alla prudenza per non travolgere famiglie intere che attraversa­no l’autostrada fu commission­ato nel 1989 dal California Department of Transporta­tion a un grafico di ascendenza indo-americana, John Hood, ma fu messo in opera in un solo tratto stradale, l’ultima parte della Interstate 5, quella prossima al confine messicano, lungo la costa del Pacifico oltre San Diego. Dunque, gli esseri umani a cui gli automobili­sti sono invitati a prestare attenzione sono migranti illegali che hanno appena attraversa­to il confine e, pur di raggiunger­e il territorio Usa, potrebbero azzardarsi ad attraversa­re un’affollatis­sima autostrada.

QUESTO SEGNALE stradale non si può confondere con quelli collocati presso edifici scolastici, che mostrano bambini quietament­e diretti a scuola. La famiglia di migranti del cartello california­no, invece, sta correndo, scappa via da qualcuno che teme. Il padre e la madre poggiano al suolo un solo piede, mentre la bambina con le treccine, presa per mano dalla mamma, nemmeno tocca terra. Fuggono per evitare che la polizia li arresti, ma potrebbero essere investiti e uccisi.

Il parallelo iconografi­co giusto è dunque un altro, quello con i cartelli stradali che mettono in guardia gli automobili­sti dagli animali selvaggi che potrebbero tagliar loro la strada. In America spesso viene indicato anche il nome della bestia in questione: per esempio, dove c’è rischio di imbattersi in un cervo ci sono segnali stradali che ne mostrano la sagoma mentre corre, con la scritta “Deer Crossing”.

I cartelli con la famiglia di migranti collocati sulla Freeway erano varie decine, ma sul posto ne sono rimasti pochi, anche perché intanto sono diventati di moda come oggetto di collezione, e infatti se ne trovano in vendita ogni tanto su eBay e simili. Ora, nessuno negherà che chi ha commission­ato, disegnato, prodotto, collocato quei cartelli avesse anche l’intenzione di salvare vite umane. Ma c’è qualcosa di più in questo ridurre un’intera famiglia di esseri umani ad anonime sagome che corrono nel buio come bestie selvagge, senza sapersi fermare nemmeno davanti all’imponente nastro d’asfalto di una trafficati­ssima autostrada.

IL MIGRANTE viene qui rappresent­ato come radicalmen­te altro dal cittadino americano che sta guidando e che potrebbe ucciderlo. Sul cartello non è scritto (come nel caso del cervo) il nome di chi corre per la strada, ma una sola parola: “Caution”, attenzione. Esortazion­e rivolta, come tutti i cartelli di tut- te le autostrade, a chi guida: sia prudente l’automobili­sta, visto che il migrante non sa esserlo! La prudenza è virtù degli americani, non di un qualche migrante che potrebbe far cose che un bravo yankee non farebbe mai, attraversa­re un’autostrada trascinand­o anche i bambini in un rischio mortale. Forse sarà così selvaggio da non sapere che cos’è un’autostrada? O non capisce niente perché preso dal terrore di essere arrestato mentre tenta di valicare il confine? L’a ut om ob il is ta viene invitato a salvare la vita dei migranti, ma anche a guardare dall’alto in basso la loro condizione umana. E che cosa mai penserà chi ha acquistato su eBay un cartello come questo? Lo considerer­à forse una neutra “opera d’arte” da appendere in salotto? Intanto Banksy ha in- terpretato da par suo questo segnale stradale (2011): le sagome sono identiche, ma corrono per far volare un aquilone, la loro speranza di una vita migliore. L’esperienza dei migranti sul confine Usa-Messico è stata descritta mille volte, per esempio in un’impression­ante installazi­one di Alejandro Iñárritu alla Fondazione Prada di Milano, Carne y Arena, che costringev­a gli spettatori a mettersi nei panni dei migranti. Un ex agente della polizia americana di confine, Francisco Cantù (origini messicane, cognome brianzolo), ha descritto in un libro, The Line Becomes a Ri

ver (2017), la sua lenta conversion­e dalla routine dei respingime­nti all’i de nti fi cazione emotiva con le ragioni dei migranti. Ma il miglior commento a quel che accade su quella linea di confine si legge in un racconto di Carlos Fuentes, Rio Grande, Rio

Bravo, dove l’agente-protagonis­ta “detesta i migranti illegali, ma al tempo stesso li ama, perché ne ha strettamen­te bisogno”. Senza di loro, infatti, non ci sarebbero operazioni di polizia, pattuglie, discorsi sui respingime­nti, spese per le armi o gli elicotteri, eccetera. Ma nonostante tutto, nonostante Donald Trump, i muri e le restrizion­i e i cartelli stradali, quel confine non può essere sigillato, come nessun confine mai poté esserlo nella storia umana. Qualcosa da imparare da storie come questa c’è forse anche per chi si affaccia su quel vasto intreccio di autostrade che si chiama Mediterran­eo. Perché anche dalle nostre parti c’è chi detesta i migranti ma ne ha bisogno, e se ne serve per i propri scopi.

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DettagliIl cartello originale negli Usa e la versione che ne offre Banksy. Sopra: quello originale relativo ai cervi

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