Class action, palla al Senato Ma poi c’è anche l’Europa
Con il nuovo testo, approvato dalla Camera con il voto di 5Stelle, Pd, Lega e Leu, aumentano i diritti e si amplia la platea di chi può utilizzare lo strumento che, però, non consente di agire per il passato
Un passo in avanti per ricominciare da zero. È quanto accaduto lo scorso 3 ottobre alla class action italiana quando la Camera – approvando la prima versione della legge che riscrive l’azione di risarcimento collettivo (per agire basta che un gruppo di persone voglia tutelare un determinato diritto, comune a tutti) – ha riportato il provvedimento allo stesso punto di partenza del 3 giugno 2015, la data in cui i deputati della scorsa legislatura hanno votato un testo abbastanza simile. La differenza è che allora il relatore era il cinquestelle Alfonso Bonafede (l’attuale ministro della Giustizia), mentre oggi è la collega di partito Angela Salafia. Nel mezzo c’è stato il passaggio al Senato, col niet del governo targato Pd ufficializzato dall’allora ministra Maria Elena Boschi. A un’assemblea di Confindustria, la Boschi aveva infatti annunciato che sulla legge c’erano “più punti da rivedere al Senato”. Parole che sono suonate come musica per le orecchie dei grandi industriali i quali da sempre temono che la class action possa trasformarsi per loro in un boomerang facendo esplodere i contenziosi complicando la vita ai grandi capitani d’impresa.
ORA, PERÒ, la riforma si è rimessa in carreggiata e a testimoniarlo c’è l’ampio consenso bipartisan con cui la Camera ha votato il progetto di legge: oltre a M5s anche Lega, Pd e Leu si sono espressi in favore, mentre Fratelli d’Italia e Forza Italia si sono astenuti. L’unica consolazione per i forzisti è che Giusi Bartolozzi, la relatrice di minoranza, ha ottenuto lo stop alla retroattività della norma richiesta dalle associazioni dei consumatori: le nuo- ve regole saranno valide solo per i fatti commessi dopo l’entrata in vigore della legge. E cioè dopo il via libera del Senato. Esclusa, quindi, la possibilità di richiedere un cospicuo risarcimento dai gestori telefonici per la beffa delle bollette a 28 giorni.
Un testo, insomma, che sembra avere tutte le capacità per salvaguardare i diritti di tutti i cittadini, per i più vari tipi di violazione: dai trasporti che non funzionano all’incolumità dei residenti che si sentono minacciati dall’installazione di una nuova antenna, pericolosa per la salute, dalle buche in città passando ai danni subiti dagli abbonati al canale sportivo che non riesce a trasmettere una partita di calcio. Insomma, tutti quei casi che fino ad oggi sono stati citati dalle varie associazioni dei consumatori più come minaccia che come strumento giuridico, consapevoli di non poter ottenere nulla. E a dire che la class action non abbia mai funzionato sono i numeri: introdotta con la legge Finanziaria del 2008 e modificata nel 2012 con il decreto Liberalizzazioni – facendo così sfumare la possibilità di farla utilizzare ai risparmiatori coinvolti nei crac finanziari Parmalat, Cirio e Argentina – tra il 2010 e il 2016, su 58 azioni di classe proposte, soltanto 10 sono state dichiarate ammissibili e addirittura solo 2 sono state quelle vinte dai ricorrenti tra costi altissimi, difficoltà a pubblicizzare le azioni intraprese in vista di altre adesioni, lentezza processuale e paletti burocratici. Eppure quando si parla di class action il pensiero va al modello americano delle azioni collettive da miliardi di dollari di risarcimenti. Basti pensare ai 23,6 miliardi di dollari pagati nel 2014 dal colosso Usa del tabacco RJ Reynolds accusata di non aver pubblicizzava abbastanza i pericoli per la salute, ai 3 miliardi e mezzo di dollari che la più grande società costruttrice di protesi al seno ha liquidato alle donne che hanno riportato malattie autoimmunitarie dopo l’impianto o ai 333 milioni di dollari ottenuti dall’ambientalista eroina (interpretata nel film Erin Brockovich da Julia Roberts) portando in tribunale la Pacific Gas & Eletric Co con l’accusa di aver contaminato le falde acquifere della città.
INUTILE però confrontare l’azione collettiva americana con quella italiana: nel sistema Usa vige il meccanismo dell’opt- out, vale a dire che vale per tutti e chi non vuole aderire deve specificarlo, mentre in Italia continua a restare l’opt- ine, quindi, l’adesione attraverso la pubblicità da parte degli enti promotori che, fino ad oggi, sono state solo le as- sociazioni dei consumatori. Tra le novità che, invece, caratterizzano la nuova class action all’italiana spiccano l’ampliamento delle categorie che potranno proporre l’azione collettiva, la possibilità di ottenere una liquidazione anche se non si partecipa alla causa e l’introduzione del coordinatore delle domande di liquidazione che dovrebbe accelerare il risarcimento. Nel dettaglio, si concretizza il passaggio della class action dall’articolo 140 bis del Codice del consumo a un titolo nuovo del Codice civile con la possibilità di esercitare un’azione di classe su tutti i diritti e non solo per chi rientra nella qualifica di consumatore. Inoltre, se l’ordinamento in vigore prevede che dopo il giudizio di ammissibilità venga imposto un periodo di tempo limitato per consentire la pubblicizzazione dell’azione di classe, il nuovo disegno di legge concede fino a 150 giorni dopo la condanna per a- derire. Ed ancora: viene prevista la figura del rappresentante comune degli aderenti, che si occupa di coordinare le adesioni successive alla sentenza e liquidare i risarcimenti e le spese legali con risarcimenti più veloci e nessun passaggio burocratico. Una rivoluzione che rischia, però, di scontrarsi con due ostacoli: non solo bisogna aspettare il passaggio al Senato, ma si corre anche il rischio di un cortocircuito con la direttiva europea sulla class action (la cosiddetta New Deal per i consumatori ) che – richiesta a gran voce dopo lo scandalo del Dieselgate – sarà esaminata nei prossimi mesi con la concreta possibilità che quella in salsa italiana venga smantellata.
A COSA SERVE
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LIMITI ALLARGATI
Per procedere ci sarà tempo fino a 150 giorni da quando il Tribunale dichiara ammissibile la domanda