Evento radicale e liberatorio ma a rimetterci sono solo le donne
Un anno di #MeToo è passato eppure ci sembra sia passato un secolo. E questo già vuol dire che è stato un evento radicale e liberatorio, che non ha guardato in faccia a nessuno, se è vero che ne sono stati travolti attori ultranoti, da Kevin Spacey a Dustin Hoffman, registi del calibro di Woody Allen, comici, ma anche fotografi, chef, allenatori, calciatori, direttori d’orchestra, giornalisti e persino giudici. Mentre cadevano le teste, alcune dopo processi mediatici altri dopo processi veri e propri, in molti si sono chiesti se il #MeToo si fosse trasformato in un movimento puritano e bigotto – basti ricordare la protesta di Catherine Deneuve in nome della “libertà di importunare” – ma soprattutto illiberale. Dove la voce della donna vale in quanto donna, e non importa se i fatti sono di 30 anni fa.
IN REALTÀ a favore del #metoo parlano non solo i diversi codici penali – che stabiliscono esattamente cosa significhi il consenso a un atto sessuale e quando si verifichi invece un abuso - ma anche i numeri, impressionanti, se è vero che solo in Italia oltre 3 milioni di donne hanno subito molestie negli ultimi tre anni: il che significa che il problema è il silenzio e non la denuncia. Purtroppo, invece, qui, dove ancora si crede che se una donna tace vuol dire che sta acconsentendo, il movimento ha riscosso ironie e dileggio. E quando qualcuno è stato accusato – vedi Fausto Brizzi – si è scatenata una battaglia furibonda per difenderlo e denigrare le donne. Donne la cui voce resta flebile, come ha dimostrato la lettera collettiva delle attrici italiani, toccante, me senza che uscisse un nome. L’unica a subire conseguenze lavorative è stata, ironia della sorte, una donna, Asia Argento. Mentre, per fare un esempio, il calciatore Ronaldo viene accusato della stessa cosa, cioè aver pagato per un silenzio, e nessuno, ça va sans dire, gli chiede di dimettersi.