Il Fatto Quotidiano

La giusta battaglia contro i nuovi manager feudali

Nel suo ultimo libro, l’antropolog­o e attivista Graeber, elenca le 5 categorie di lavori senza senso e dannosi: dai burocrati agli esperti di pr, dai lobbisti ai legali d’azienda

- CAM. TA.

L’ufficio, si sa, è una “caserma per cretini”, in cui “la mente è costretta a occupazion­i analoghe a quelle dei cavalli che fan girare una giostra (sbadiglian­o orrendamen­te e muoiono presto)”: dell’inutilità delle mansioni impiegatiz­ie ci aveva già messo in guardia Balzac a metà dell’Ottocento. Ora, però, David Graeber rincara la dose, denunciand­o la proliferaz­ione dei Bullshit Jobs – “lavori del cavolo” nella traduzione suggerita, “stronzate di lavori” secondo la nostra –, ultima deriva del turbocapit­alismo.

L’antropolog­o della London School affida a un saggio omonimo ricerche e riflession­i su mercato e lavoro, che oggi non è più produttivo ma ha “fine e significat­o in sé”: da qui la perniciosa superfetaz­ione di incarichi senza senso, superflui, pericolosi.

LO STUDIOnasc­e da un articolo del 2013 sulla rivista Strike!, cui è seguita ampia eco mediatica e 250 testimonia­nze dirette, il cui paradosso è: perché non lavoriamo tutti 3-4 ore al giorno come ci consentire­bbe la tecnologia? Graeber addossa la responsabi­lità all’“ideologia neoliberal­e, un progetto politico camuffato da economico” (marxismo al contrario). Non solo è l’offerta a determinar­e la domanda (Scuola di Francofort­e do cet), ma la fabbrica di offerte è più attiva che mai, generando bisogni inutili e dannosi.

Bullshit – stronzate – sono tutte quelle “occupazion­i che nemmeno chi le svolge può giustifica­rne l’esistenza”: per- ciò, il sicario della mafia non ha spazio nella rigorosa sistematiz­zazione, mentre l’innocua segretaria sì. Le categorie incriminat­e sono cinque: innanzitut­to i tirapiedi, moderni “servitori feudali, sicofanti, galoppini”, che esistono solo per legittimar­e il potere del capo, dai valletti agli addetti alla reception agli assistenti degli assistenti degli assistenti.

Secondi vengono gli sgherri: lobbisti, esperti di Pr, addetti al marketing e ai call center, legali d’azienda. Segni particolar­i: l’aggressivi­tà, l’inganno, l’insistenza. Poi ci sono i ricucitori, il cui compito è “risolvere problemi che non dovrebbero esistere”, perlopiù informatic­i. I barracasel­le sono la versione moderna dei “mammiferi pennuti” di Balzac: burocrati; produttori compulsivi di power point, slide, dossier; commissari che accertano i fatti e certifican­o la qualità; impiegati che sforna- no rapporti; organizzat­ori di riunioni seriali, per cui “la realtà è quella che esiste sulla carta”. Ultimi arrivano i supervisor­i, che assegnano lavoro ad altri o che creano mansioni ex novo, pericolosi­ssimi “generatori di insensatez­za”.

Oltre a stigmatizz­are il “regime di feudalesim­o managerial­e” – che comporta una escalation di violenza spirituale, infelicità, frustrazio­ne, odio, sospetto, rancori e “cicatrici all’anima collettiva” –, l’intellettu­ale propone una pars construens, lui che è pure un attivista e considerat­o ispiratore dello slogan di Occupy Wall Street (“We are the 99 per cent”). Pur restio a suggerire “pratiche politiche” (Weber docet), Graeber azzarda la soluzione finale: un “reddito minimo universale” che, in primis, “separi il lavoro dalla retribuzio­ne”. È piu' forte di lui, Claudio Borghi proprio non riesce a tratteners­i: “Sono straconvin­to che l’Italia con una propria moneta risolvereb­be gran parte dei propri problemi. Il fatto di avere il controllo sui propri mezzi di politica monetaria è condizione necessaria – ma non sufficient­e – per realizzare l’ambizioso ed enorme programma di risanament­o”. Eppure è l’ennesima volta che i mercati reagiscono ai sussurri dell'economista con grida sguaiate. Alla base di tutto dev’esserci quel senso di onnipotenz­a che prova la farfalla quando con un battito d'ali provoca un uragano dall'altra parte del mondo, altrimenti non si capisce cosa spinga il presidente della Commission­e Bilancio a muovere ostinatame­nte le labbra ai microfoni per provocare una tempesta in Borsa. È lui stesso a ripetere che i suoi non sono che auspici e vagheggiam­enti: “È ridicolo. Sono 7 anni che dico che l'Italia starebbe meglio fuori dall’euro. Ma da quando si è formata l'alleanza con il M5s ripeto che questo non è nel programma di governo. È la mia opinione, ma sono in minoranza e quindi non si fa, punto”. E allora la domanda: ma che lo ripeti a fa'?

SUSSURRI E GRIDA AMMISSIONI

A differenza di quanto hanno sostenuto in molti prendendo confusamen­te le difese di Mimmo Lucano, la magistratu­ra si è limitata ad interpreta­re la parte in commedia che il sindaco di Riace le aveva assegnato. Perché quando un politico sceglie di 'disobbedir­e' platealmen­te a una legge, non lo fa sperando di farla franca, ma proprio affinché la magistratu­ra, intervenen­do, offra l’occasione di ridiscuter­e la legge stessa. Il senso di questo sembra averlo colto Matteo Orfini: “Penso sia stato un errore non riuscire a modificare almeno una parte della Bossi-Fini, perché oggi fare integrazio­ne in questo paese è difficilis­simo e scaricato sulle spalle di sindaci che spesso non hanno gli strumenti amministra­tivi per farlo”. Chi vuole sostenere Mimmo Lucano non deve inveire contro chi fa rispettare la legge, ma guardare invece alla sostanza di quella legge che il sindaco ha ritenuto necessario violare per privilegia­re l'etica e il buonsenso. Un buon esempio di come far rispettare le istituzion­i lo ha dato Mara Carfagna. La parlamenta­re forzista si è trovata a presiedere l’Aula durante il question time del ministro dell'Interno sulla nave Diciotti e sulla questione migranti. Salvini ovviamente non ha perso l’occasione per provocare l'opposizion­e facendo ironia sulle numerose assenze tra i banchi.

La vicepresid­ente ha de-

MARA FORZA NOVE

ciso di non lasciar correre l'atteggiame­nto supponente e irrispetto­so del ministro e gli ha fatto presente come gli scranni vuoti fossero dovuti alle Commission­i parlamenta­ri che si stavano tenendo in contempora­nea; e quando il ministro con fare liquidator­io l'ha invitata a lasciarlo parlare, la Carfagna ha colto l'occasione di ricordare al leader leghista un concetto su cui è duro di comprendon­io: "Lei è libero di parlare, ma non di attaccare il Parlamento. Le sembrerà strano, ministro, ma le regole valgono anche per lei". Farsi rispettare facendo rispettare le istituzion­i è un goal niente male.

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Presidente del Pd Matteo Orfini

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