Il Fatto Quotidiano

L’arte dell’insulto secondo i romani Plauto e Cicerone

- » ORAZIO LICANDRO

“Assassini politici”, “terrori sti”, “in cen diar i”: gli insulti tra esponenti politici, di governo e di opposizion­e, hanno reso incandesce­nte il quadro politico italiano e internazio­nale. E in effetti non vi è dubbio che la nobile “arte dell’i ns ul to”, per dirla con Borges, sia stata la vera protagonis­ta dinanzi alla surreale inconsiste­nza del dibattito politico e ai balletti sulla manovra economica del governo Conte. Anche nell’antichità si ricorreva sovente all’insulto, alla volgarità più spinta non come armi dialettich­e ma per colpire duramente un avversario politico. Una delle offese più ricorrenti ed efficaci perché minavano assai la credibilit­à del destinatar­io era l’ebrietas, la dedizione all’alcol. E su questo terreno il ministro dell’Interno italiano ha calcato la mano verso il presidente della Commission­e Ue, Jean Claude Juncker: “Parlo con persone sobrie”. L’abbandonar­si a simili contumelie non destava sorprese nelle commedie popolari di Plauto: “A v an t i , continua a versare in quel tuo abisso senza fondo, sciacqua subito la tua fogna!”; “Guarda questa carogna come si riempie la gola tracannand­o vino!”, faceva esclamare ad alcuni personaggi il commediogr­afo. Ma pure voci assai più sorvegliat­e, come Cicerone, non rinunciava­no a proferire quell’insulto. Celebre un passo delle Filippiche, zibaldone di accuse e insulti a Marco Antonio, in cui l’oratore lo accusava di aver “tracannato tanto vino, da vomitare il giorno dopo, davanti agli occhi dei R om a ni ” nel corso di un’assemblea popolare ( Filippiche 2.25.63). Tuttavia, mentre sull’ebrietas di Marco Antonio vi è un’assoluta convergenz­a delle fonti antiche, su Juncker c’è soltanto un algoritmo di Google.

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