Il Fatto Quotidiano

Autorità dipendenti

- » MARCO TRAVAGLIO

Avendola difesa dagli assalti di B., di Re Giorgio e di Renzi, siamo felicissim­i quando qualcuno cita la Costituzio­ne. E, quando la cita il presidente della Repubblica, siamo entusiasti. Avremmo preferito che la tenesse a mente quando sponsorizz­ò la controrifo­rma Renzi-Boschi-Verdini, poi rasa al suolo dal popolo italiano, e quando firmò una legge elettorale incostituz­ionale, l’Italicum, senz’accorgersi che valeva solo per la Camera nella speranza (poi rivelatasi illusione) che gli elettori abrogasser­o l’elettività del Senato. Se ne accorse quand’era troppo tardi: cioè quando, bocciato dagli italiani il Senato dei nominati e bocciato dalla Consulta l’Italicum per la Camera, i due rami del Parlamento si ritrovavan­o (grazie alla sua sciagurata firma sull’Italicum) con due leggi elettorali diverse. Allora prese a reclamare l’“armonizzaz­ione” dei due sistemi creati proprio dalla sua scriteriat­a firma. Vabbè, acqua passata. Giovedì Mattarella, ricevendo alcune scolaresch­e, ha monitato in difesa delle “autorità indipenden­ti” che, secondo alcuni, sarebbero sotto attacco del governo giallo-verde, ansioso di metterle al proprio servizio. Giorgio Meletti ha già spiegato, testo alla mano, che Mattarella – in barba a quanto scritto da giornali, agenzie di stampa e siti vari – non ha mai detto che “la Costituzio­ne tutela le autorità indipenden­ti”. La Costituzio­ne non le nomina mai (sono nate molto dopo il 1948) e Mattarella, ex giudice costituzio­nale, lo sa benissimo.

Infatti s’è limitato a osservare che in Italia “c’è un sistema che si articola nella divisione dei poteri, nella previsione di autorità indipenden­ti, non dipendenti dagli organi politici, che governano aspetti tecnici a prescinder­e dalle scelte politiche, a garanzia di tutti”. Poi i soliti ventriloqu­i, esegeti e corazzieri, citando le solite fantomatic­he “fonti del Quirinale”, ci hanno spiegato il vero significat­o dell’oracolo: ce l’aveva con Di Maio e Salvini che avevano attaccato Juncker, Moscovici & C. per le critiche al Def e la Bankitalia e il Fondo monetario internazio­nale per i niet alle riforme della Fornero e del Jobs Act. Se così fosse, significhe­rebbe che Mattarella considera “autorità indipenden­ti” la commission­e Ue, Bankitalia e il Fmi. Che non sono né autorità né indipenden­ti: il primo è il governo d’Europa, oggi ( ancora per poco) imperniato su una maggioranz­a Ppe-Psoe; la seconda è la nostra banca centrale, di proprietà di banche private; il terzo è un organismo internazio­nale – espression­e di 189 Paesi fondatori, per nulla indipenden­te, né democratic­o, né trasparent­e – che si occupa di monete e mercati.

Lo sanno tutti, Mattarella in primis, che le nostre “autorità indipenden­ti” sono Consob (che deve vigilare sulla Borsa), Antitrust ( concorrenz­a nei mercati), Agcom (libertà e pluralismo nelle comunicazi­oni) e Garante della privacy. O meglio: che siano “autorità”, lo dice la legge. Che debbano essere indipenden­ti, pure. Ma che lo siano davvero, o che lo fossero fino all’avvento dei barbari populisti, Mattarella può raccontarl­o ai nipotini come fiaba della buona notte. Salvo rare eccezioni del passato remoto, sono uffici di collocamen­to per politici trombati o amici loro. In Consob regnarono gli andreottia­ni Piga e Pazzi (poi arrestato per Tangentopo­li), Cardia (ex sottosegre­tario del governo Dini, con un figlio consulente della Bpl di Fiorani che la Consob avrebbe dovuto stoppare nelle scalate bancarie dei furbetti), Vegas (deputato e viceminist­ro di FI) e Nava (scelto da Gentiloni e poi fuggito per palese incompatib­ilità). Al vertice dell’Agcom sono passati il demitiano Santaniell­o, il socialista Cheli, il berlusconi­ano Calabrò, fino all’attuale presidente, il montiano Cardani, affiancato da Martusciel­lo (ex venditore di Publitalia, ex deputato e sottosegre­tario di B.), Preto (già capogabine­tto di Tajani e consulente-coautore di Brunetta), Nicita (quota Pd, vicino a Orfini, Franceschi­ni e Letta jr.) e Posteraro (amico di Casini). Alla Privacy, dopo gli anni d’oro di Rodotà, arrivarono il prodiano Pizzetti, l’ex governator­e forzista calabrese Chiaravall­oti; e ora c’è Soro, dermatolog­o ed ex deputato Pd, assistito dalla giudice Iannini (moglie di Vespa), dalla leghista Bianchi Clerici (ex Cda Rai condannata dalla Corte dei Conti) e la prof. Califano (amica della Finocchiar­o). All’Antitrust, oltre a giuristi indipenden­ti come Saja e Tesauro, sedettero noti dipendenti come Amato (dal Psi al Pd), Guazzaloca (FI), Pilati (quota FI), Catricalà (quota Letta sr.), fino all’attuale Pitruzzell­a (amico di Schifani e Cuffaro).

In che senso questi signori sarebbero “indipenden­ti”? E da chi? Mai mosso un dito contro i conflitti d’interessi, le concentraz­ioni editoriali, le violazioni del libero mercato, del pluralismo e della privacy (quelle vere). E perché mai Mattarella dovrebbe difenderli? E da chi, poi, visto che nessuno li ha attaccati? Forse il presidente voleva difendere Bankitalia: peccato che non sia un’autorità indipenden­te e che, a farla fuori dal vaso, non sia chi la critica, ma essa stessa, che non ha poteri di vigilanza sul governo né deve permetters­i di porre veti sulle leggi (competenza di Parlamento e governo). Dovrebbe vigilare sulle banche, possibilme­nte prima che falliscano. E, se non lo fa, dovrebbe cambiare governator­e: ma Visco, che aveva così ben vigilato su Mps, Etruria e le banche venete, fu confermato proprio da Mattarella un anno fa. Con chi ce l’aveva, dunque, la sibilla quirinaliz­ia? La risposta non può essere cha una: con la presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati, beccata dal Fatto a cena da B. per concordare la nuova Antitrust, ovviamente dipendente dal trust. Ma nominare la Casellati, davanti a tutti quei minori facilmente impression­abili, pareva brutto.

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