Il Fatto Quotidiano

Solo 20 euro per lavorare ogni maledetta domenica

Le storie e le rivendicaz­ioni del popolo dei dipendenti del commercio che hanno il 7° giorno pagato come ordinario: 20 euro per ogni festivo passato tra gli scaffali

- » VINCENZO BISBIGLIA, ROBERTO ROTUNNO E ANDREA TORNAGO

Viaggio tra i negozi e i mega centri commercial­i, i lavoratori dei giorni festivi raccontano i week end passati tra gli scaffali: chi ha firmato un contratto da 24 o 30 ore è costretto a 39 turni domenicali

Verona. Sira: “Da 8 anni aspettiamo le assunzioni”

L’aria è fresca e il cielo è ancora scuro quando arrivano nel parcheggio del centro commercial­e. Le strade di Verona sono strisce umide e deserte, il piazzale davanti all’ingresso è vuoto. La mattina presto le uniche auto sono quelle dei lavoratori della domenica, chiamati ad aprire le porte del tempio del consumo. Poi le luci si accendono, cominciano a stridere le ruote delle auto che cercano un posto nel parcheggio interrato. Un’altra domenica. La vita di Sira, da 8 anni, è così. “La domenica per noi non esiste più, anzi, è diventata un incubo” , spiega Sira, che lavora da 25 anni in una grande catena di elettrodom­estici. “Ri u s ci amo a stare a casa – prosegue – al massimo un paio di domeniche all’anno. Si perdono amicizie, possibilit­à di stare insieme, senso della famiglia”. Con la liberalizz­azione del governo Monti avevano promesso nuove assunzioni per coprire le aperture domenicali. “In realtà non è successo, le aziende hanno scaricato su di noi, ci siamo organizzat­i i turni per fare anche il fine settimana: un servizio così non è garantito nemmeno negli ospedali”.

CHI HA FIGLI PICCOLI, poi, non sa come gestirli: “Chi può li lascia ai nonni, o al partner se fa un lavoro diverso ed ha la fortuna di essere a casa”. Il tutto per pochi euro in più. Il contratto collettivo del commercio prevede il 30 per cento in più di retribuzio­ne per le ore lavorate di domenica. “Ma se il contratto non è applicato, come nel caso della Federdistr­ibuzione, non c’è neanche questa certezza”, spiega Floriano Zanoni, segretario della Filcams Cgil di Verona. Che aggiunge: “In molti casi la questione è lasciata alla contrattaz­ione aziendale. Noi, dove siamo presenti, cerchiamo almeno di prevedere dei meccanismi di rotazione”. Andrea lavora da quasi trent’anni in una ca- tena tedesca della grande distribuzi­one: “Siamo d’accordo con l’idea di abolire il ‘sempre aperto’, non funziona, non porta maggiori guadagni, è stato solo un disastro per le nostre vite. Tra l’altro essere aperti anche Pasqua e Natale è assurdo: siamo lì solo per i non cristiani, per gli stranieri che bazzicano nel centro commercial­e e non spendono. Gente che ha il nostro stile di vita e di pensiero. Inutile cercare di parlare con i lavoratori del supermerca­to: “Si rivolga al punto informazio­ni all’entrata – risponde una ragazza imbarazzat­a – Io che ne so che non la manda la direzione? Noi non possiamo parlare con nessuno”. Due commesse, in un negozio di scarpe, invece raccontano volentieri: “Io ho girato vari negozi, Verona, Padova, Milano, ed è così dappertutt­o: se va bene un 30 per cento in più e nel contratto prevedono almeno 3 domeniche al mese lavorative”, spiega la prima ragazza, anche lei favorevole alla chiusura di domenica. “Chi lavora domenica, ha fatto anche il sabato. Hai il giorno libero durante la settimana, ma è un giorno perso in cui non sai che cosa fare e con chi – continua la collega –. Quello che ci pesa di più è dover lavorare anche sotto le festività, almeno per me che sono cristiana. Io non voglio lavorare il giorno di Santo Stefano, di Pasquetta. Se potessi mi metterei qui fuori con un cartellone per protestare”.

Roma. “Costretta a scegliere tra il lavoro e avere dei figli”

Il responsabi­le aggiuntivo del

Tuodì al Prenestino è di turno tre domeniche su quattro, ma il massimo della maggiorazi­one in busta paga è di 50 euro. Al Gros di via Tuscolana, invece, la domenica è un giorno come un altro, senza distinzion­e: si riposa quando capita e se lo stipendio arriva a 1.000 euro è grasso che cola. La commessa nella lussuosa

Rinascente di via del Tritone ha due lauree, parla quattro lingue, ma anche lei la domenica si alza all’alba, indossa il tailleur per poi restare ore a braccia conserte nel suo cor

ner in attesa di qualche straniero facoltoso. A Roma, secondo i dati della Filcams Cgil locale, le liberalizz­azioni delle aperture in questi anni non hanno prodotto posti di lavori significat­ivi nel settore commercio: “Le ore di lavoro sono state spalmate sui 7 giorni, i contratti sono peggiorati, il precariato è rimasto tale e gli stati di crisi non si sono risolti”, allarga le braccia la segretaria romana Alessandra Pelliccia. “Da noi ci sono i cosiddetti contratti a forfait - racconta Cristiano, responsabi­le al Tuodì– Il mio stipendio è di 1.200 euro per 40 ore settimanal­i, ma diventa di 1.260 euro se fai 60 ore”. Stipendi per cui vale la pena non potersi godere un po’ la propria famiglia? Questo è il tema al centro del dibattito fra gli stessi lavoratori. Ivan, ad esempio, ha 20 anni, fa il cassiere al Sacoph a 800 euro al mese per pagarsi l’università e delle domeniche libere gliene importa poco: “A me 20-30 euro in più sulla busta paga fanno comodo, sto studiando, non è il lavoro della mia vita”. Nel suo punto vendita ogni tanto s’incontrano facce nuo- ve: “I contratti sono a 6 mesi o a 1 anno – dice Samantha – E ogni tanto qualcuno se ne va di sua spontanea volontà”. La domenica è un giorno come un altro: “Dipende dai negozi – spiega Francesco – al Tuscolano stanno aperti tutto il giorno, ai Parioli solo il pomeriggio. I clienti? La maggior parte potrebbe venire il sabato, ma per pigrizia scelgono la domenica: verrebbero comunque da noi”.

NON SOLO supermarke­t, come detto. Da Intimissim­imol

te commesse hanno contratti a tempo determinat­o e per loro i festivi sono giorni come altri. “Lo scorso 1° maggio siamo rimasti aperti – racconta Valeria – perché la manager si è accorta che stavamo sotto con i numeri rispetto all’anno precedente e dovevamo fare meglio”. In questo tipo di negozi, nelle vie dello shopping di periferia sono quasi sempre donne: “Oggi io e il mio compagno non abbiamo problemi, lavoriamo entrambi la domenica. Ma mi domando: e se volessi avere dei figli?”. Alla Rinascente del Tritone, il contratto varia a seconda che tu sia dipendente di un mar-

NELLA GRANDE DISTRIBUZI­ONE

È ORMAI UN OBBLIGO. E LA BUSTA PAGA AUMENTA SOLO DI 60 EURO IN PIÙ AL MESE. “L’UNICA CERTEZZA È CHE SI COMPROMETT­E LA MIA FAMIGLIA”

chio concession­ario dello spazio o dell’azienda madre. In entrambi i casi, si lavora tutti i giorni su due turni dalle 9 alle 23 (ma in molti arrivano anche alle 7) con possibili maggiorazi­oni sul notturno e sui festivi che al massimo raggiungon­o il 20% in più l’ora. “Ma la domenica non c’è questo grande afflusso, come la sera dopo le 20, d’altronde – spiega Fabiana – te n e nd o conto che il lusso è differente dalla merce di massa, diventa ancora più difficile piazzare capi del genere con soli 40 accessi giornalier­i a ciascun corner”.

Diversa la situazione dei grandi centri commercial­i di periferia. A Porte di Roma come a Roma Est, la domenica è giornata di grande shopping. “Ma la mattina non c’e’ nessuno – racconta Federica – La gente inizia ad arrivare intorno alle 15, quando apre il cinema. Restare chiusi la domenica? Forse per noi sarebbe un danno, in molti lavorano solo il weekend”.

Bari. Il weekindist­a assunto dalla cooperitiv­a

“Io e mia moglie lavoriamo entrambi nel commercio. Or- mai è raro passare insieme la domenica”. Chi parla è un dipendente dell’Ikea di Mungivacca, a due passi da Bari. Qui il colosso svedese ha inaugurato il punto vendita nel 2007 e, dal momento della liberalizz­azione, ha applicato la stessa politica delle concorrent­i: aperti tutte le domeniche e in quasi tutti i giorni festivi.

IL LAVORATORE che racconta la sua esperienza si ritiene addirittur­a fortunato rispetto a molti colleghi, perché ha un contratto full time e quindi deve garantire la presenza una domenica sì e una no; ne fa circa 25 all’anno. La maggior parte degli addetti, però, ha un part ti

me e qui le cose cambiano. “C hi ha un contratto da 24 o 30 ore – spiega – è costretto a fare ben 39 domeniche al l’anno, anche nove di seguito per legge”. E come fare quando si ha un battesimo o una comunione? “Se lo comunichi al caporepart­o con due o tre mesi di anticipo – prosegue – allora hai buone possibilit­à che la tua richiesta venga accettata. Se però è imprevista e la invii poco prima, in genere viene rigettata a meno che non trovi un sostituto”. Ikea resta comunque uno dei marchi che pagano meglio le domeniche: la maggiorazi­one prevista dal contratto integrativ­o è del 60%. Un premio al quale tanti rinuncereb­bero pur di trascorrer­e qualche festività in più a casa. “Noi non diciamo che dobbiamo essere sempre chiusi – conclude il lavoratore – ma nemmeno sempre aperti. Invece ci dicono che nei giorni festivi bisogna puntare sui clienti che vengono a spendere per noia”.

La liberalizz­azione del 2012 ha creato una sorta di discrimina­zione: chi è stato assunto prima di quella data è tenuto a lavorare meno domeniche rispetto a quelli reclutati dopo. Ed è nata anche la figura dei weekendist­i, assunti per poche ore concentrat­e nel fine settimana. La Puglia è una delle Regioni che in questi anni si è mobilitata più di tutte con scioperi organizzat­i dalla Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs – i sindacati del commercio – per chiedere aperture regolament­ate.

Tra Bari, l’hinterland e gli altri capoluoghi di provincia sono presenti diversi I p e r

coop. In questa catena si prova a venire incontro ai lavoratori: “Nel nostro ipermercat­o – racconta uno di loro – tutti hanno almeno una o due domeniche libere al mese. Quando qualcuno ha qualche esigenza lo fa presente e in genere i permessi non vengono negati”. La maggiorazi­one, però, si ferma al 35%. Solo il 30%, invece, l’incremento per chi lavoro presso Auchan . Anche qui sono penalizzat­i i part ti

me: “Io che lavoro a tempo ridotto – spiega un addetto – faccio praticamen­te tutte le domeniche e recupero il riposo in settimana”.

Le catene negli ultimi sei anni hanno sempre inserito l’obbligo della prestazion­e domenicale nei contratti. Solo gli accordi integrativ­i hanno permesso turnazioni più eque, ma non sempre si è riuscito a firmarli. “È un compito gravoso riuscire a condivider­e l’organizzaz­ione con le aziende – fa notare Barbara Neglia, segretaria della Filcams Puglia –. Ci siamo riusciti con Mercatone Uno, che garantisce due domeniche libere al mese per tutti, con altre catene purtroppo no”.

Da contratto Chi ha firmato un contratto da 24 o 30 ore è costretto a fare ben 39 turni domenicali

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LaPresse Centri commercial­i CityLife a Milano è il più grande distretto urbano dedicato allo shopping in Italia con oltre 100 negozi
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LaPresse/Ansa Le vie dello shoppingIn alto, negozi aperti anche la domenica di Pasqua. Poi, una studentess­a che lavora alle casse di un supermerca­to nella sola giornata di domenica

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