Il Fatto Quotidiano

Operazione Tenaglia: i big del Pd tentano di mandare via Renzi

- » WANDA MARRA

Parlare di congresso a 7 mesi dalle elezioni non mi pare una scelta precipitos­a. Finalmente ci siamo”. La frase chiave nella convention che lancia la candidatur­a di Nicola Zingaretti alla segreteria del Pd, la pronuncia Paolo Gentiloni. Un avvertimen­to a Renzi: basta con i tentativi di continuare a comandare il Pd dopo le dimissioni, basta con le manovre per allontanar­e il congresso. Tant’è vero che Gentiloni si pone come padre nobile, che appoggia sia Nicola Zingaretti, già in corsa, che Marco Minniti, che sta riflettend­o se candidarsi. Il tentativo è quello di spingere Renzi definitiva­mente ai margini. E con i big in prima fila, a partire da Dario Franceschi­ni, Andrea Orlando e Matteo Richetti, Renzi pare davvero già fuori.

LUI, CHE HA FIUTATO L’ARIA, compie la sua più classica mossa di disturbo con un’intervista al Corriere della Sera, nella quale, soprattutt­o, dice: “Il Pd non basta, faremo i comitati civici”. Sul modello dei Comitati per Prodi, a cui lui stesso partecipò, pensa a piccoli gruppi (almeno 5 persone) formati da non iscritti, uniti in una rete sui territori e tenuti insieme da idee comuni su temi specifici. Saranno presentati alla Leopolda, in programma a Firenze il prossimo week end. Quest’anno, la sua manifestaz­ione fondativa sarà davvero il primo test per l’uscita dal Pd. Di certo non subito, magari a congresso finito. D’altra parte, c’è più di un motivo per cui Fran- cesco Bonifazi resta sia tesoriere del Pd che della Fondazione Eyu.

La giornata di ieri è la fotografia di un Pd senza Renzi. O almeno di una sua parte. C’è il sole alla ex Dogana di Roma, di gente ce n’è più del previsto (qualche centinaio di persone, ma di questi tempi non è poco). “Grazie a ‘Piazza Grande’, al vostro entusiasmo e al coraggio che viene da questa Piazza e grazie a Nicola che ha avuto il coraggio di mettere in moto queste energie in un momento difficile per il Paese”, esordisce Gentiloni. Ma poi, menzione d’onore per Marco Minniti che ringrazia “per come ha lavorato nel mio governo”. Da notare l’accento sul “mio”. La foto c’è e pure l’abbraccio, ma l’e n d o r s e m e nt definitivo a Zingaretti manca. L’ex premier si mantiene equidistan­te, mentre parla della necessità di allargare: nel suo schema c’è l’idea di un partito che si copra a destra e a sinistra, di un congresso che – con Minniti e Zingaretti – tracci questo percorso. Con lui nel ruolo di padre nobile e Renzi definitiva­mente archiviato.

Minniti non ha ancora sciolto la riserva. Questa settimana parlerà con tutti i big dem, cercherà di capire quale sostegno può avere. I più sono convinti che alla fine scenderà in campo. Ma la cosa fondamenta­le per farlo è non essere il candidato del senatore di Scandicci, smarcarsi dal cappello che l’ex segretario sta cercando di mettere sulla sua eventuale corsa.

QUALCUNO EVOCA la suggestion­e: “E se alla fine si ritirasser­o entrambi e corresse Gentiloni?”. L’opzione pare fuori tempo massimo, ma la battaglia è sulla leadership vera. Nessuno crede che l’ex segretario sarà davvero disposto a essere uno tra tanti (Minniti compreso): il problema con il quale si confronta da mesi è quanto vale elettoralm­ente una sua operazione. Alla ex Dogana Zingaretti rispolvera le parole d’ordine care al Pd prima di Renzi. Attacca Salvini per lo smantellam­ento del modello Riace. Dietro di lui scorre una gigantogra­fia di Mimmo Lucano. Si scaglia contro il ddl Pillon e incita gli uomini a difendere i diritti delle donne. Insiste sul “noi” contro l’ “egocrazia”. Attacca Di Maio che con il reddito di cittadinan­za crea “sudditi”. Un discorso tanto solido quanto antico. “Il nostro vero mostro è “perché hanno scelto loro?”, dice a un certo punto. Perché poi l’analisi resta in superficie e pare emergere la consapevol­ezza che molte categorie vanno ripensate e approfondi­te. Sui 5 stelle, risponde implicitam­ente alle critiche di Renzi nelle ultime settimane: “Non ho detto che dobbiamo allearci con loro, ma dobbiamo fare politica, disarticol­arli, dividerli”.

Alla giornata non manca un brivido. “Ecca là”, dice a mezza bocca Zingaretti, quando, appena iniziato a parlare, vede irrompere sul palco un agguerrito gruppetto di animalisti con i cartelli. “La natura e gli animali non si toccano”. Smette di parlare, ma pare indeciso su quale reazione avere. Alterna. A un certo punto dice: “Io mi diverto”. Ma poi li accusa: “Avete dei problemi psichiatri­ci, dovete farvi vedere da qualcuno”. Tutto quasi senza cambiare espression­e. La platea si alza in piedi, il servizio d’ordine non risparmia qualche spintone e qualche pugno. Loro resistono per una decina di minuti. Poi vengono portati fuori, non senza travolgere qualche partecipan­te (tra cui Roberta Pinotti). “Li ha mandati Renzi”, commentano nel pubblico. Forse Renzi no, ma Walter Caporale, presidente di Animalisti Italiani onlus, dai Verdi è passato a Berlusconi e Brambilla. Tra contestazi­one sociale e patto del Nazareno è il ritorno dei rimossi.

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Ansa Democratic­i non renziani Il pubblico intervenut­o alla kermesse romana del Partito democratic­o

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