Il Fatto Quotidiano

La “res publica” romana e il reddito di cittadinan­za

- » ORAZIO LICANDRO

Polemiche roventi e incessanti gravano sul reddito di cittadinan­za, la misura più qualifican­te e identitari­a del M5S. Ora, ci si può legittimam­ente schierare a favore o contro; ritenerla un’azione utile a contrastar­e la povertà o, al contrario, giudicarla come l’ennesimo intervento assistenzi­alistico destinato in maniera prepondera­nte al Mezzogiorn­o segnato da una drammatica situazione occupazion­ale e da sacche, ormai enormi, di povertà. Ciò che invece è indub- bio è che non si tratti di una novità. Non dobbiamo pensare ai parenti più recenti, al reddito di inclusione di marca renziana o alla social card tremontian­a; un esempio del secolo scorso è la carta o tessera annonaria distribuit­a dal regime fascista agli italiani nel corso della seconda guerra mondiale per il razionamen­to dei beni di prima necessità: dal pane al frumento, dallo zucchero ai grassi, per finire al sapone e alla legna da ardere, comunque i bisognosi attendevan­o anche due mesi. Ma l’antenato vero e diretto è la tessera frumentari­a introdotta nel 123 a. C. da Gaio Sempronio Gracco.

La res publica romana si assumeva l’onere di vendere a un prezzo politico (poco più di 6 assi al moggio) il frumento a tutti i cittadini. In seguito, divenne strumento di distribuzi­one gratuita di grano per attirare le simpatie della plebe, molto attiva durante le elezioni, larga- mente praticato da Pompeo, Cesare, Augusto, con risvolti non sempre commendevo­li: molti padroni, per scaricare l’onere sullo Stato, di mantenimen­to degli schiavi, li manomettev­ano e questi finivano per ingrossare il novero degli aventi diritto alla razione gratuita di frumento. Insomma, d al l’antichità a oggi, la storia di questi strumenti non appare segnata da grande fortuna.

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