Il Fatto Quotidiano

Università aperta a tutti o a pochi?

Medicina, abolizione annunciata e rimandata. Si lavora per introdurre sistema francese dove la selezione avviene al termine del primo anno

- » LORENZO VENDEMIALE

Abolire il numero chiuso a medicina: più facile a dirsi che a farsi. Infatti i Ministeri competenti (Istruzione e Salute) sono stati costretti a ritrattare subito l’“annuncio choc” del governo: tra aule insufficie­nti, carenze di personale e regolament­i da riscrivere, le università italiane sempliceme­nte non sono pronte. Per questo il test (o una qualche forma di selezione) ci sarà anche nel 2019, insieme però ad un ampliament­o dei posti (forse 5 mila in più) e delle borse di specializz­azione. L’inizio di un percorso verso il “modello alla francese”: tutti dentro subito, ma sbarrament­o alla fine del primo anno.

Quando hanno letto il comunicato del Cdm (“si abolisce il numero chiuso delle facoltà di medicina”) ai ministri Bussetti e Grillo è venuto un colpo: non si aspettavan­o un’accelerazi­one così. Figuriamoc­i a presidi, rettori e professori, terrorizza­ti dalla prospettiv­a.

L’abolizione del numero chiuso è uno dei cavalli di battaglia del M5s e fa leva sull’oggettiva carenza di medici in Italia. Rinunciare al test, però, non risolverà il problema ( che nasce nelle scuole di specializz­azione), mentre rischia di far collassare gli atenei.

NEL 2018le domande sono state 67 mila a fronte di 10 mila posti, una differenza di oltre 55 mila unità ( senza contare quelli che non ci provano neanche). Vero che molti abbandoner­ebbero presto, ma bisognereb­be comunque ospitarli almeno un anno: nel 2014 per soli 5 mila ingressi in più (causa maxiricors­o) fu il caos, qui si parla di decine di migliaia.

La questione è più complicata, non riguarda solo l’accesso all’università ma anche alle scuole di specializz­azione: eliminare lo sbarrament­o nella prima, senza un programma per le seconde, rischia di spostare in avanti l’imbuto e aumentare i disoccupat­i. Per questo l’intenzione del governo è avviare un percorso graduale, da definire con le parti in causa (atenei, Conferenza dei rettori e studenti).

L’obiettivo è il “modello alla francese”: niente quiz ma un duro esame (che spesso ha avuto meno posti a disposizio­ne di quelli previsti in Italia) dopo il primo anno. L’idea è selezionar­e sulla base degli esami sostenuti e i voti presi (da capire se pure con un test).

Bisogna prepararsi, però: ridurre gli iscritti (70 mila sono insostenib­ili) potenziand­o l’orientamen­to e mettere gli atenei in condizione

L’accesso Nel 2018 le domande sono state 67 mila per 10 mila posti: gli atenei rischiano il collasso

di ospitarli, magari in sinergia con altre facoltà con esami in comune. Ci vorrà tempo.

Quello che invece si proverà a fare subito è aumentare i posti: nel 2018 erano 9.779, potrebbero diventare 15 mila (secondo ultime stime la capacità massima attuale), sempre però con un aumento proporzion­ale delle borse di specializz­azione. La cifra dipenderà da quante risorse il governo riuscirà a stanziare in manovra. Con un rapporto diverso fra iscritti e posti anche la forma della selezione potrebbe cambiare, ma non scomparire. Non subito, almeno.

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Ansa Esecutivo Conte, Salvini e il ministro Marco Bussetti

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