Università aperta a tutti o a pochi?
Medicina, abolizione annunciata e rimandata. Si lavora per introdurre sistema francese dove la selezione avviene al termine del primo anno
Abolire il numero chiuso a medicina: più facile a dirsi che a farsi. Infatti i Ministeri competenti (Istruzione e Salute) sono stati costretti a ritrattare subito l’“annuncio choc” del governo: tra aule insufficienti, carenze di personale e regolamenti da riscrivere, le università italiane semplicemente non sono pronte. Per questo il test (o una qualche forma di selezione) ci sarà anche nel 2019, insieme però ad un ampliamento dei posti (forse 5 mila in più) e delle borse di specializzazione. L’inizio di un percorso verso il “modello alla francese”: tutti dentro subito, ma sbarramento alla fine del primo anno.
Quando hanno letto il comunicato del Cdm (“si abolisce il numero chiuso delle facoltà di medicina”) ai ministri Bussetti e Grillo è venuto un colpo: non si aspettavano un’accelerazione così. Figuriamoci a presidi, rettori e professori, terrorizzati dalla prospettiva.
L’abolizione del numero chiuso è uno dei cavalli di battaglia del M5s e fa leva sull’oggettiva carenza di medici in Italia. Rinunciare al test, però, non risolverà il problema ( che nasce nelle scuole di specializzazione), mentre rischia di far collassare gli atenei.
NEL 2018le domande sono state 67 mila a fronte di 10 mila posti, una differenza di oltre 55 mila unità ( senza contare quelli che non ci provano neanche). Vero che molti abbandonerebbero presto, ma bisognerebbe comunque ospitarli almeno un anno: nel 2014 per soli 5 mila ingressi in più (causa maxiricorso) fu il caos, qui si parla di decine di migliaia.
La questione è più complicata, non riguarda solo l’accesso all’università ma anche alle scuole di specializzazione: eliminare lo sbarramento nella prima, senza un programma per le seconde, rischia di spostare in avanti l’imbuto e aumentare i disoccupati. Per questo l’intenzione del governo è avviare un percorso graduale, da definire con le parti in causa (atenei, Conferenza dei rettori e studenti).
L’obiettivo è il “modello alla francese”: niente quiz ma un duro esame (che spesso ha avuto meno posti a disposizione di quelli previsti in Italia) dopo il primo anno. L’idea è selezionare sulla base degli esami sostenuti e i voti presi (da capire se pure con un test).
Bisogna prepararsi, però: ridurre gli iscritti (70 mila sono insostenibili) potenziando l’orientamento e mettere gli atenei in condizione
L’accesso Nel 2018 le domande sono state 67 mila per 10 mila posti: gli atenei rischiano il collasso
di ospitarli, magari in sinergia con altre facoltà con esami in comune. Ci vorrà tempo.
Quello che invece si proverà a fare subito è aumentare i posti: nel 2018 erano 9.779, potrebbero diventare 15 mila (secondo ultime stime la capacità massima attuale), sempre però con un aumento proporzionale delle borse di specializzazione. La cifra dipenderà da quante risorse il governo riuscirà a stanziare in manovra. Con un rapporto diverso fra iscritti e posti anche la forma della selezione potrebbe cambiare, ma non scomparire. Non subito, almeno.