Il Fatto Quotidiano

“Scrivevo i testi a Zero e Zarrillo, ma ora canto io”

Vincenzo Incenzo, paroliere di Zero, e il suo primo album

- » ALESSANDRO FERRUCCI

La prima chance può arrivare a cinquant’anni, quando l’occhio del riflettore all’improvviso ruota di pochi gradi e illumina chi per due decenni è rimasto all’ombra della gloria altrui; chi da due decenni compone pezzi da hit, da falò intorno alla spiaggia, da standing ovation a Sanremo. “Oramai neanche ci pensavo più e mi andava bene, poi un giorno Renato Zero ascolta un brano cantato da me, mi guarda e con modi seri traccia una nuova direzione: ‘Perché non incidi un disco? Lo produco io’. Incredulo l’indomani ho solo risposto: grazie”. Nasce così Credo, primo album di Vincenzo Incenzo con tredici tracce tra brani inediti e alcuni suoi grandi successi come Cinque giorni e L’acrobata.

Non ci pensava più.

Un sogno finito da tempo nel cassetto dei progetti mancati, e senza molto rimpianto.

Lei come nasce?

Al Folkstudio (storico locale di Roma) quando la domenica mi esibivo da promessa, poi un lunedì ho aperto un concerto di De Gregori.

E...

Alla fine dell’esibizione mi dice: “Sei un bravissimo giovane collega”.

Detto da lui. L’emozione di quel momento non la dimentico.

E poi?

Nel giro piacevano i miei pezzi, così mi chiesero di scrivere per altri, in particolar­e per Michele Zarrillo: “Non sono capace...”, rispondevo.

Al contrario è nata “Cinque giorni”.

La svolta: dopo l’uscita mi hanno chiamato tutti, dallo stesso Renato a Lucio Dalla, e da lì sono partiti vent’a nn i travolgent­i, durante i quali ho accantonat­o ogni progetto iniziale.

Ma tra il Folkstudio e “Cinque giorni”?

Laureato al Dams di Bologna, Umberto Eco presente, quindi ho viaggiato e suonato per tutta Europa: entravo nei locali, mi piazzavo al piano, e spesso il proprietar­io arrivava per ingaggiarm­i.

Cosa cantava?

Quasi solo cover, Elton John in particolar­e, poi piazzavo qualche mio pezzo per sondare la reazione del pubblico.

Come mai gli studi a Bologna?

Un po’ per assorbire quella realtà musicale, e lì ho vissuto i primi passi di Luca Carboni e gli Stadio; un po’ per allontanar­mi dal confronto con mio padre, luminare della musica classica: per trent’anni primo clarinetto a Santa Cecilia.

Torniamo a “Cinque giorni”.

È una lettera scritta un cinque gennaio, esattament­e cinque giorni dopo l’addio della mia ragazza.

E Zarrillo?

Mi ricordavo di una musica scritta da Michele, così vado da lui e ci poggio sopra il testo ed era perfetta. “Portiamola a Sanremo”

Inizia la svolta.

Non subito. La casa discografi­ca presenta un altro brano, Baudo lo ascolta ma non è convinto. “Avete solo que- sto?”, domanda Pippo. I discografi­ci spiazzati mettono play su Cinque giorni e arriva l’ok.

Diventa autore.

E giovanissi­mo, quando di solito sono più attempati: se andavo alla Siae per depositare i pezzi, mi scambiavan­o sempre per il pony express.

Da dietro le quinte com’è Sanremo?

Come autore ho partecipat­o undici volte, ma solo in quattro occasioni sono andato all’Ariston.

Primo ricordo del Festival. La gioia del pubblico: lì urlano a prescinder­e; anzi: prima urlano e poi ti domandano “Scusa, ma chi sei?” Non le pesa questo ruolo “ombra”?

Ho cercato di essere più maturo rispetto alla mia emotività, di mettere da parte me stesso.

Come si fa?

Ho puntato sul piacere della sola scrittura, la realizzazi­one dentro la creazione, e una volta consegnato il pezzo me ne affrancavo per non starci male.

Renato Zero.

È stato di una generosità unica, non ripetibile: mi accompagna anche nelle ospitate televisive per dare più forza al messaggio. Ma chi si presta, volontario, a una situazione del genere? Sono ancora incredulo e gli dico grazie anche per il mio ieri.

In particolar­e? Uno come lui non ha bisogno di un autore, eppure mi coinvolge perché ha la duttilità mentale di volersi confrontar­e: è di un altro livello, un fuoriclass­e non solo come artista, ma pure in quanto a sensibilit­à.

Torniamo alle canzoni: le sono sempre piaciute le interpreta­zioni altrui?

In rare occasioni mi ha dato fastidio il desiderio di caricare il testo, di spingere sulla parola.

Nel primo brano del disco “Je suis” parla dell’ego.

E penso a quando ho tentato di convicermi di non essere in grado come cantautore. E ho iniziato a studiare il violino in maniera compulsiva tanto da causare una tendinite cronica.

Ma Zero in vent’anni non

l’ha mai sentita cantare? Mai, mi nascondevo. Suo padre è soddisfatt­o?

Oggi di più, mentre da piccolo ha tentato di scoraggiar­mi in ogni modo, definiva la musica “un demonio che fa soffrire”, tanto da chiudere a chiave il pianoforte per evitare che lo suonassi. La canzone preferita di suo padre.

L’elefante e la farfalla: da lì ha

cambiato idea. E la sua?

La stessa di mio padre più L’acrobata: qui credo di aver rag-

giunto la giusta sintesi. Lei a X Factor.

Non avrei avuto quella violenza performant­e, quando li guardo mi sembrano tigri. Cosa avrebbe cantato?

Forse L’animale di Battiato. Ora cosa vuole?

Tornare a suonare dal vivo con il pianoforte, ovunque, anche per pochissime persone. Voglio recuperare le emozioni del Folkstudio. Al debutto.

E mi sembra già di aver recuperato vent’anni.

Fu Baudo a scegliere ‘Cinque giorni’ per Zarrillo a Sanremo Renato? Mi vuole accompagna­re anche nelle comparsate in tv

 ??  ?? Collaboraz­ioni d’autore Incenzo ha lavorato, oltre che con Renato Zero, anche con Trovajoli, Dalla, Pfm, Endrigo, Ron, Venditti, Pravo, Vanoni e Califano
Collaboraz­ioni d’autore Incenzo ha lavorato, oltre che con Renato Zero, anche con Trovajoli, Dalla, Pfm, Endrigo, Ron, Venditti, Pravo, Vanoni e Califano
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