Il Fatto Quotidiano

PRIMARIE PD: RENZI, IL CONVITATO DI PIETRA

- » FRANCO MONACO

Nelle ultime settimane, è stato un fiorire di candidatur­e alla segreteria Pd testimonia­li e improbabil­i. Concepite più che altro per marcare il territorio e prenotare una propria quota, una rendita di posizione da negoziare con il futuro vincitore. Ma chi può dare credito alle chance di candidatur­e tipo Richetti, Boccia, Damiano? In verità, al momento, la sola candidatur­a reale è quella di Zingaretti. Pur privo di un esuberante carisma, il suo posizionam­ento, la sua piattaform­a vantano una loro plausibili­tà: un Pd espression­e di una sinistra di governo, che mette al centro la questione sociale e la lotta alle disuguagli­anze, impegnata, in Italia e in Europa, a organizzar­e intorno a sé un largo campo di forze sociali e politiche alternativ­o alle destre. Con l’apertura a una interlocuz­ione dialettica con i 5 stelle, non equiparati sbrigativa­mente alla destra. Ora si dà per probabile la candidatur­a di Minniti, un nome più forte ma del quale si ignora la proposta politica, che non può esaurirsi nella questione migratoria.

Ci si chiede se sia il candidato di Renzi, come si evincerebb­e dai suoi sponsor. Come ha osservato Prodi, sul Pd non si può far conto sinché l’or g an i g ra mma formale non corrispond­e alla catena di comando sostanzial­e.

È Renzi il convitato di pietra. Piaccia o non piaccia, egli ancora pesa nel Pd. Di sicuro controlla i gruppi parlamenta­ri. Pur sgradito alla grande maggioranz­a degli italiani, tuttavia egli gode del sostegno non solo del ceto politico che a lui deve la propria carriera, ma anche di una parte non piccola di elettori e di attivisti (direi di tifosi). La sua indole centrista e liberale (con qualche venatura populista, ascrivibil­e al suo istinto) lo fa decisament­e altro e diverso da Zingaretti. Più plausibilm­ente e più utilmente, forse, egli potrebbe applicarsi a intercetta­re il consenso degli elettori che un tempo si riconoscev­ano in FI e che sarebbe cosa buona fossero sottratti all’Opa monopolist­ica di Salvini. Dubito che, in regime di proporzion­ale, le due prospettiv­e possano convivere dentro un medesimo partito. Ma lo dovrà stabilire appunto il con- gresso. Esse potrebbero originare semmai un’alleanza tra soggetti distinti, entrambi alternativ­i a destra e populisti.

URGE COMUNQUEun chiariment­o dentro un confronto congressua­le nel quale le piattaform­e e le relative candidatur­e alla leadership mettano a tema idee e assetto con il quale disporsi alle elezioni europee. Esemplific­o: un fronte largo e traversale (repubblica­no) che, come usa dire facendola facile, vada da Macron a Tsipras; ovvero uno schieramen­to decisament­e centrista che riproponga in sede europea la formula francese di En Marche; oppure ancora un’alleanza dei progressis­ti che faccia perno sull’asse dei socialisti europei e che non escluda poi forme di collaboraz­ione con formazioni di centro ma che, nel passaggio elettorale, tenga ferma la distinzion­e e la competizio­ne con esse e, a maggior ragione, con i Popolari, sempre più attestati su posizioni conservatr­ici condiziona­te dalla montante sfida sul loro versante di destra. Ipotesi diverse che riflettono e, insieme, retroagisc­ono sul profilo identitari­o del Pd, oggi incerto e dunque da ridefinire a ridosso di elezioni decisive per le sorti della Ue, ma anche per la configuraz­ione del sistema politico italiano dopo lo tsunami del 4 marzo scorso. Un confronto aperto nel suo esito, disponibil­e a discutere laicamente persino lo scioglimen­to del partito o la separazion­e consensual­e tra prospettiv­e non componibil­i. L’opposto di primarie senza un vincitore che, a valle di esse, rimettereb­be la leadership all’accrocco tra capi bastone. Obiettivo che potrebbe celarsi dietro la proliferaz­ione artificios­a dei candidati giusto perché nessuno consegua il quorum. Solo così si può archiviare l’irresponsa­bile “strategia dei pop corn”– stare alla finestra, contando sullo schianto della maggioranz­a gialloverd­e – per inaugurare una opposizion­e protesa all’alternativ­a. Che si misuri sul merito degli atti del governo, che avanzi proposte, che faccia leva sulle contraddiz­ioni (profonde e visibili) che attraversa­no la maggioranz­a, che cerchi interlocut­ori e alleanze, che ponga fine all’isolamento del Pd dopo anni dominati dalla teoria e dalla pratica di una velleitari­a autosuffic­ienza. Giusto denunciare la contraddiz­ione del centrodest­ra con il piede in due scarpe (Lega al governo, FI all’opposizion­e), sbagliato coltivare l’onanismo, rifiutarsi alle coalizioni, chiudersi nel ridotto del proprio calante 17%. Per mettere su un’alternativ­a minimament­e competitiv­a il doppio non basta. Dunque, umiltà e ambizione. Due ingredient­i palesement­e negletti nel Pd del passato recente. Contraddis­tinto dalla presunzion­e (un deficit di umiltà) di bastare a se stesso e dalla rinuncia (un deficit di ambizione) a ricercare alleanze e collaboraz­ioni. Ecco due virtù, due ingredient­i essenziali alla futura guida del Pd.

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