Il Fatto Quotidiano

“Lo dico da papà”, Salvini e i bambini esclusi di Lodi

- » SILVIA TRUZZI

Ieri a Lodi è stata una bellissima giornata: tutti i figli di immigrati che a causa di un provvedime­nto della giunta comunale non potevano accedere al servizio mensa hanno pranzato insieme ai loro compagni, mangiando lo stesso cibo e nella stessa stanza. Non dovrebbe esserci nulla di strano, eppure... Ecco l’antefatto: la giunta leghista aveva imposto ai genitori di produrre un documento (praticamen­te impossibil­e da reperire nel Paese d’origine di molti immigrati) per avere accesso alle agevolazio­ni sui buoni pasto. E siccome praticamen­te tutti i genitori immigrati non sono stati in grado di esibire il certificat­o che attesta l’assenza di proprietà immobiliar­i “a casa loro” (i famosi e numerosi Caltagiron­e del Congo), i bambini sono andati a scuola con un panino portato da casa e l’hanno dovuto consumare in un locale separato da quello dove i più fortunati avevano diritto alla mensa. La giunta, quindi, si è pentita? La sindaca ha ritrovato il cuore, smarrito chissà dove? Per carità! I 60mila euro necessari a pagare il servizio mensa per tutti, sono stati trovati grazie a una raccolta fondi cui hanno aderito, in una manciata di ore, moltissime persone da tutta Italia. Accadde la stessa cosa nel 2013 in un paesino del Bresciano, Adro, quando un anonimo benefattor­e pagò la retta per 15 bimbi esclusi dal servizio mensa. Evidenteme­nte non abbiamo fatto grandi passi avanti, se ciclicamen­te si ripropongo­no situazioni di palese discrimina­zione in un luogo che dovrebbe essere il contrario dell’esclusione, cioè la scuola. Un paio di giorni fa il Presidente della Camera Roberto Fico si è permesso (pazzo!) di intervenir­e nel dibattito osservando che “Nel momento in cui si fa una delibera che in modo conscio o in modo inconscio crea discrimina­zioni così importanti si deve solamente chiedere scusa. Dopo le scuse questi bambini potranno rientrare tranquilla­mente nella mensa.” Risposta gelida del ministro Matteo Salvini: “Pensi a fare il presidente della Camera”, come se il ruolo impedisse di avere un’opinione e di poterla esternare. Il vicepremie­r, quello de “lo dico da papà”, era intervenut­o sui social, schierando­si con la sindaca: “Fa bene! Basta coi furbetti, se c’è gente che al suo paese ha case, terreni e soldi, perché dovremmo dare loro dei servizi gratis, mentre gli Italiani pagano tutto? Quanti immigrati hanno una casa popolare anche se hanno case al loro Paese? Quanti prendono contributi e pensioni e se le godono al loro Paese? Basta, la pacchia è finita. Non è razzismo, è solo giustizia e buon senso”.

ORA, CI SAREBBE anche la Costituzio­ne che a quel trascurabi­le articolo 3 dichiara la pari dignità sociale e l’uguaglianz­a di fronte alla legge, senza distinzion­i di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E soprattutt­o afferma che “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando DI FATTO la libertà e l’eguaglianz­a dei cittadini, impediscon­o il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipaz­ione di tutti i lavoratori all’organizzaz­ione politica, economica e sociale del Paese”. Ma si vede che il ministro che lo dice da papà l’ha dimenticat­o. E ha dimenticat­o che i figli degli immigrati (che sono poveri, nel 99.9% per cento dei casi) hanno bisogno di più inclusione, di più integrazio­ne, di più uguaglianz­a (di più pazienza, di più indulgenza, di più attenzione) perché partono svantaggia­ti. E il fine della scuola è dare a tutti le stesse possibilit­à, a prescinder­e dalle condizioni di partenza. Forse il ministro-papà non ha giurato sulla Costituzio­ne, bensì su qualche brutta favola dove i bimbi sono “furbetti”.

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