“Lo dico da papà”, Salvini e i bambini esclusi di Lodi
Ieri a Lodi è stata una bellissima giornata: tutti i figli di immigrati che a causa di un provvedimento della giunta comunale non potevano accedere al servizio mensa hanno pranzato insieme ai loro compagni, mangiando lo stesso cibo e nella stessa stanza. Non dovrebbe esserci nulla di strano, eppure... Ecco l’antefatto: la giunta leghista aveva imposto ai genitori di produrre un documento (praticamente impossibile da reperire nel Paese d’origine di molti immigrati) per avere accesso alle agevolazioni sui buoni pasto. E siccome praticamente tutti i genitori immigrati non sono stati in grado di esibire il certificato che attesta l’assenza di proprietà immobiliari “a casa loro” (i famosi e numerosi Caltagirone del Congo), i bambini sono andati a scuola con un panino portato da casa e l’hanno dovuto consumare in un locale separato da quello dove i più fortunati avevano diritto alla mensa. La giunta, quindi, si è pentita? La sindaca ha ritrovato il cuore, smarrito chissà dove? Per carità! I 60mila euro necessari a pagare il servizio mensa per tutti, sono stati trovati grazie a una raccolta fondi cui hanno aderito, in una manciata di ore, moltissime persone da tutta Italia. Accadde la stessa cosa nel 2013 in un paesino del Bresciano, Adro, quando un anonimo benefattore pagò la retta per 15 bimbi esclusi dal servizio mensa. Evidentemente non abbiamo fatto grandi passi avanti, se ciclicamente si ripropongono situazioni di palese discriminazione in un luogo che dovrebbe essere il contrario dell’esclusione, cioè la scuola. Un paio di giorni fa il Presidente della Camera Roberto Fico si è permesso (pazzo!) di intervenire nel dibattito osservando che “Nel momento in cui si fa una delibera che in modo conscio o in modo inconscio crea discriminazioni così importanti si deve solamente chiedere scusa. Dopo le scuse questi bambini potranno rientrare tranquillamente nella mensa.” Risposta gelida del ministro Matteo Salvini: “Pensi a fare il presidente della Camera”, come se il ruolo impedisse di avere un’opinione e di poterla esternare. Il vicepremier, quello de “lo dico da papà”, era intervenuto sui social, schierandosi con la sindaca: “Fa bene! Basta coi furbetti, se c’è gente che al suo paese ha case, terreni e soldi, perché dovremmo dare loro dei servizi gratis, mentre gli Italiani pagano tutto? Quanti immigrati hanno una casa popolare anche se hanno case al loro Paese? Quanti prendono contributi e pensioni e se le godono al loro Paese? Basta, la pacchia è finita. Non è razzismo, è solo giustizia e buon senso”.
ORA, CI SAREBBE anche la Costituzione che a quel trascurabile articolo 3 dichiara la pari dignità sociale e l’uguaglianza di fronte alla legge, senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E soprattutto afferma che “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando DI FATTO la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Ma si vede che il ministro che lo dice da papà l’ha dimenticato. E ha dimenticato che i figli degli immigrati (che sono poveri, nel 99.9% per cento dei casi) hanno bisogno di più inclusione, di più integrazione, di più uguaglianza (di più pazienza, di più indulgenza, di più attenzione) perché partono svantaggiati. E il fine della scuola è dare a tutti le stesse possibilità, a prescindere dalle condizioni di partenza. Forse il ministro-papà non ha giurato sulla Costituzione, bensì su qualche brutta favola dove i bimbi sono “furbetti”.