Il Fatto Quotidiano

Scambiatev­i un segno di pace (fiscale): in fondo siamo all’osteria

- » ALESSANDRO ROBECCHI

Guardo la mia piccola pila di multe regolarmen­te pagate e mi si apre il cuore. Ci sono un paio di autovelox (buste verdi), un paio di divieti di sosta del mio Comune (buste bianche), poi quella volta che mi era scaduto il ticket del parchimetr­o, e poi la mia preferita: la multa presa mentre ero alle Poste a pagare una multa. Record. L’ho incornicia­ta, cioè, prima pagata, poi incornicia­ta. Osservo queste piccole made

leine del mio essere automobili­sta imperfetto – tutte pagate – alla luce della nuova pace fiscale e modifico la mia idea di stato di diritto: sono un coglione. Fossero solo le multe.

IL PROBLEMA, invece, è la semantica, la scelta delle parole, la costruzion­e delle formule. In un Paese dove esiste un decreto, votato ogni anno, che si chiama Milleproro­ghe, infinito elenco di cose non fatte, trovare nuovi nomi fantasiosi per vendere vecchia merce come un semplice condono non è facile.

“Pace fiscale” è una buona soluzione. Intanto è in italiano (i governi precedenti l’avrebbero chiamato “Fiscal Love”) e poi descrive bene il clima da osteria, ehi, qua la mano, pare di vedere una locanda con vecchi contadini, una pittura dell’Ottocento. “Pace fiscale” presuppone che si chiuda una guerra, che tacciano i cannoni e si ritrovi una garrula cordialità tra chi non ha pagato e chi dovrebbe – leggi alla mano – fargli il culo. È una guerra a cui quelli che hanno regolarmen­te versato tutto, magari cristonand­o e negandosi altre cose, magari rimandando un acquisto perché la multa veniva prima, assistono mentre gli cascano le braccia. Cose tra loro, insomma, tra chi ha sgarrato (poco, la multa, ma anche parecchio, fino a 100 mila euro, in un Paese dove il reddito medio pro capite è di 27 mila), e chi cerca di incassare quel che può. Che c’entriamo noi che siamo in regola, a parte un retrogusto di fregatura?

Si dirà che è il ritornello che si sente ad ogni condono, quando si chiama in italiano (ah, i vecchi “concordati” di Silvio!) e quando si chiama in inglese (la Voluntary Disclosure, che pareva una categoria di Youporn). È vero in parte.

Divertente invece che sia così solerte nel perdonare, condonare e cancellare regole chi proprio in questi giorni si appella a regolament­i e cavilli d’altro tipo. La Lega, che voleva addirittur­a un tetto più alto per il suo condono, che tuona ad ogni passo contro la burocrazia che strangola il cittadino, usa la burocrazia per strangolar­e altri cittadini, purché stranieri. Le storie delle mense scolastich­e di Lodi sono note: la burocrazia usata come cappio punitivo e guinzaglio corto, i moduli dai paesi d’origine, la guerra di scartoffie per negare diritti, una specie di tassa sull’articolo 3 della Costituzio­ne mascherata da “rispetto delle regole”.

Il“debole-coi-forti-e-f or- te - co i- deb oli ”, che è la cifra dell’esplosione salviniana nel Paese, non poteva avere in un solo giorno descrizion­e più plastica: di qua si perdona chi ha sgarrato, si chiude un occhio, si tende la mano (pace!); di là, dalla parte dei nuovi italiani che lavorano qui, pagano le tasse qui, mandano i figli a scuola qui, ci si fa occhiuti e pedantissi­mi, chiedendo documenti impossibil­i e costosi per provare il gusto di un piccolo apartheid di paese (guerra!).

PER I BAMBINI di Lodi, i migranti di Riace, i “negozietti etnici” (sic) si pretende ferreo rigore burocra tico- amminist rativo, spesso inventato lì per lì con intento punitivo, mentre per gli altri si mette una toppa ogni tanto, si perdona, si sana, si “mette in regola” con lo sconto. La vecchia barzellett­a che la legge è uguale per tutti si aggiorna con “la burocrazia è uguale per tutt i”, su base etnica. La doppia morale, insomma – legge e ordine, ma per chi dico io – diventa tripla. Tutto made in Salvini, con gli altri testimoni muti e inani, come la mucca che guarda passare il treno.

TRIPLA MORALE La vecchia barzellett­a che la legge è uguale per tutti si aggiorna con “la burocrazia è uguale per tutti”, su base etnica

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