Davide ucciso “per errore” Solo due anni al carabiniere
Napoli, pena più che dimezzata in appello al militare che nel 2014 inseguì il 17enne Bifolco. La perizia: “Inciampò e l’arma era senza sicura”
“Due anni, solo due anni, neanche se fosse stato ammazzato un cane”, il primo commento in aula di familiari e amici di Davide Bifolco, il ragazzo di 17 anni del rione Traiano di Napoli ucciso per errore il 5 settembre 2014 da un carabiniere, al termine di un inseguimento di tre ragazzini senza casco, a bordo di uno scooter, che avevano forzato un posto di blocco, i carabinieri erano convinti che su quel motorino ci fosse un latitante.
“IN PRIMO GRADO fu comminata una pena sproporzionata e assurda per un omicidio colposo, figlia del momento storico e del clima infuocato, di intimidazioni e pressioni, che accompagnò il processo”, replica Salvatore Pane, l’avvocato dell’imputato, il carabiniere Gianni Macchiarolo. Ieri la Corte di Appello ha detto sì al concordato proposto dalla difesa e con il consenso della Procura generale, e gli ha ridotto la condanna a 2 anni con la sospensione condizionale. In primo grado il gup Ludovica Mancini aveva inflitto a Macchiarolo 4 anni e 4 mesi e l’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni, una pena di un anno superiore a quella richiesta dal pm.
L’appuntato dell’Arma fu giudicato colpevole di omicidio colposo, e non volontario, come ritenevano, e tuttora ritengono, i genitori di Davide. Le sedici pagine di motivazione della sentenza di primo grado, pubblicate nell’ottobre 2016, hanno smontato completamente la versione di alcuni sedicenti testimoni secondo i quali Bifolco fu ammanettato, messo in ginocchio e ucciso con la pistola puntata alla tempia. Dichiarazioni che il giudice valutò completamente false, ma che contribuirono ad alimentare un clima tesissimo.
Napoli fu attraversata da cortei di protesta ( uno si è svolto anche ieri dopo la sentenza), ci furono scontri, il comandante provinciale dei Carabinieri di Napoli, il colonnello Marco Minicucci, con un gesto fuori ordinanza si tolse il cappello e rivolse le sue scuse davanti a parenti e amici del ragazzo ucciso. Un gesto che fece onore all’Arma, molto apprezzato dai partecipanti alla fiaccolata conclusa davanti al comando provinciale, e che contribuì a stemperare la tensione.
Sul processo si è poi riversata l’attenzione di un comitato di amici di Davide, sempre presenti nella piazza antistante il Tribunale ad ogni u- dienza di un processo celebrato a porte chiuse. Tra loro nel luglio 2015, il giorno della richiesta di condanna formulata dal pm Manuela Persico, era presente anche Ilaria Cucchi, la sorella di Stefano Cucchi, accompagnata dal suo legale Fabio Anselmo, che era avvocato di parte civile anche della famiglia Bifolco e ha poi rinunciato al mandato prima dell’appello.
DAVIDE COME STEFANO, due vittime dei carabinieri. Ma con livelli di responsabilità diversi, secondo le ricostruzioni che emergono da Roma e Napoli. I genitori di Davide sono convinti del contrario. “È stato un omicidio volontario e invece lo hanno giudicato colposo, gli hanno dato il massimo della pena e adesso in appello solo due anni. È tutto falsato, se questa è la giustizia italiana allora siamo rovinati: Davide è stato trattato così perché è figlio delle periferie”, sostiene un affranto Gianni Bifolco, il papà di Davide. “Le prove sono state inquinate, non hanno fatto le indagini come si deve”. E poi, rivolgendosi al militare, aggiunge: “Vorrei sapere mio figlio cosa ti ha fatto, non sei neanche venuto a chiedere scusa”.
Ma la perizia balistica stabilì che Macchiarolo, nelle fasi concitate del “fermo” di Davide e di un altro ragazzo, perse l’equilibrio e inciampando fece partire il proiettile che uccise. Il carabiniere non aveva inserito la sicura.
Le proteste
Gli amici e la famiglia: “Neanche fosse stato un cane”. Il padre: “Prove inquinate”