La casa non è solo dei poveri
▶IL MOVIMENTO
Cinque Stelle sembra aver finalmente deciso che i poveri con una casa di proprietà devono essere trattati diversamente da quelli che devono pagare un affitto. Nel calcolo del sussidio cui hanno diritto ai primi verrà imputato un reddito fittizio pari all’affitto “figurativo”. Cioè, secondo l’Istat, il costo che la persona dovrebbe sostenere per affittare una casa con caratteristiche identiche a quella in cui vive. Un povero con reddito zero e una casa di proprietà che sul mercato potrebbe affittare a 280 euro al mese, riceverà solo 500 euro (la differenza tra il suo reddito virtuale e la soglia massima di 780). Per l’Istat, nel 2017 la spesa media per famiglia era 1,977 euro, ma considerando l’affitto figurativo sale di molto, a 2.564. Distinguere tra poveri in affitto e poveri con la casa riduce il costo complessivo potenziale del reddito di cittadinanza da 30 miliardi a circa 15. Sarebbe ingiusto trattare allo stesso modo chi deve usare un reddito modesto per pagare anche un affitto e chi, a parità di reddito, può spenderlo tutto per altro.
Con l’abolizione dell’Imu sulla prima casa, nel 2014, in Italia è passata l’idea che avere una abitazione di proprietà fosse un diritto umano, indiscutibile anche per i più ricchi. Ora, almeno riguardo agli ultimi della scala sociale, si afferma il contrario: una casa è ricchezza immobilizzata, fonte di reddito potenziale e va considerata nel determinare il benessere dell’individuo e la legittimità delle sue pretese verso il welfare. Agli italiani non poveri, che il sussidio non lo ricevono, bisognerebbe quindi tornare a far pagare una tassa sulla prima casa. La vecchia Imu (che già esentava le fasce più basse di contribuenti) valeva 4 miliardi all’anno. Un gettito che pagherebbe quasi la metà del reddito di cittadinanza. Con meno spesa in deficit e più equità.