Ferrarini, vicino al fallimento anche il gioiello di famiglia
Per la seconda volta, nel giro di soli 3 mesi, la vicepresidente di Confindustria Lisa Ferrarini è costretta a rifugiarsi in corner. Dopo la prima richiesta, accolta dal Tribunale a fine di luglio, del concordato preventivo per la storica azienda di famiglia la Ferrarini Spa di reggio Emilia, ecco arrivare la seconda richiesta di aiuto per tenere a bada i creditori: nei giorni scorsi la vicepresidente degli industriali ha infatti inoltrato domanda di concordato anche per la Società Agricola Ferrarini.
LA NUOVArichiesta riguarda la società nata dalla scissione del 2016 del gruppo alimentare emiliano che aveva scorporato dalle attività industriali nella produzione di prosciutti e salumi gli asset più di pregio. Dai terreni, agli immobili, alla produzione di grana, alle acetaie. Da una parte quindi la lavorazione e vendita del prosciutto cotto con lo storico marchio, dall’altra le attività core della famiglia. Una mossa per metter al riparo già allora alcuni degli asset dalla situazione di tensione finanziaria che aleggiava da tempo sul gruppo. Manovra che evidentemente non è servita: ora tutte le attività del gruppo sono sotto la protezione del Tribunale.
Ma come si è arrivati a una sorte così amara per un gruppo alimentare che ha tuttora un forte marchio che gareggia alla pari nella grande distribuzione con aziende come Rovagnati e il suo Gran biscotto e Parmacotto? Per qualcuno la crisi debitoria della Ferrarini è legata all’accrocchio con Veneto Banca. I Ferrarini erano al contempo azionisti e debitori della banca andata in default. Le loro azioni si sono azzerate e questo avrebbe dato il colpo mortale al gruppo. Ma da come ha ricostruito Il Fatto, Lisa Ferrarini risultava azionista, prima del crac, dell’istituto bancario per lo 0,24% del capitale. Una posizione che valeva non più di una decina di milioni di valore oggi bruciati. Ma non è certo il crac della banca di Montebelluna ad aver portato la Ferrarini vicina al collasso. Il cumulo delle perdite in gioco è di ben altra natura. Si parla di un indebitamento complessivo di gran lunga superiore ai 200 milioni. E con le banche (non solo Veneto Banca) esposte per oltre 100 milioni di euro e i fornitori per oltre 50 milioni. È stato il grande ricorso all’indebitamento iniziato anni fa a far precipitare la situazione. Già nel 2012 i livelli dell’indebitamento complessivo del gruppo superavano i 200 milioni. Saliti poi a 233 milioni a fine del 2015. Certo i fondamentali economici non erano poi messi così male. Un fatturato che stazionava negli ultimi anni intorno ai 250 milioni di euro con un margine lordo che produceva circa 20 milioni l’anno di redditività industriale. Quel cumulo di debito valeva, già nel 2012, la bellezza di 10 volte la marginalità industriale. Un livello che per un’azienda ali- mentare, pur con un marchio forte, è da considerare di emergenza. Come si può pensare di ripagare oltre 200 milioni di soldi di terzi se il Mol generato ogni anno è di soli 20 milioni? Tant’è che tutte le banche avevano già a suo tempo chiesto garanzie su terreni e immobili proprio per l’elevata leva finanziaria. Nel 2014 infatti a fronte di un finanziamento da 22,5 milioni messo a punto da un pool di istituti con UniCredit; Intesa e Ge Capital erano state messe a garanzia immobili e impianti produttivi della Ferrarini. Idem per il prestito da 6 milioni messo a disposizione da Ubi, sempre nel 2014, e garanzie di terreni agricoli anche sugli 11 milioni concessi sempre in quell’anno dalla Banca del Mezzogiorno.
MA LE BANCHE non bastavano: Ferrarini non poteva continuare ad appoggiarsi al sistema bancario per finanziare l’operatività della società. Nel 2015 Ferrarini infatti emette un bond da 30 milioni quotato sull’extraMot. Ebbene il tasso chiesto dal mercato per quell’obbligazione che sarebbe scaduta nel 2020 era del 6,375%. Un tasso che con l’Euribor pressoché a zero la dice lunga sul rischio percepito dai sottoscrittori. Solo di cedole avrebbe pagato in 5 anni oltre 9 milioni su un capitale di 30 milioni. Segno che la tensione finanziaria, per un gruppo con debiti superiori a 10 volte i flussi di reddito industriali prodotti ogni anno, era già elevata oltre 3 anni fa. E il segno della crisi è proprio nella quotazione del bond: crollato a 59 da 99 dei primi giorni dell’agosto scorso. Milioni di euro: il debito della Agricola Ferrarini nel 2015, oggi salito. Banche esposte per 100 milioni, i creditori per 50
Non solo Veneto banca Ad aver affossato il marchio di salumi l’eccessiva esposizione con gli istituti di credito I numeri
Milioni: la Ferrarini possedeva lo 0,24% del capitale di Veneto Banca. Soldi andati in fumo Milioni: quanto avrebbe pagato in cedole in 5 anni, su 30 milioni. È il bond emesso con scadenza 2020