Il Fatto Quotidiano

Manona e condonone

- » MARCO TRAVAGLIO

Quando due partiti governano insieme, per un’alleanza politica o per un “contratto” di programma, devono potersi fidare l’uno dell’altro. Se cercano di fregarsi a vicenda, non vanno lontano e a rimetterci non sono soltanto loro, ma i cittadini. Finora l’accordo fra due soggetti umanamente e politicame­nte diversissi­mi come Di Maio e Salvini, era parso forte e solido, anche per via di un buon rapporto personale e “generazion­ale”. “Salvini è di parola”, aveva detto Di Maio (e anche Grillo) dopo l’elezione dei presidenti delle Camere e ben prima del governo. “Di Maio è l’alleato ideale, governerem­o cinque anni”, aveva ripetuto Salvini. Anche se entrambi sapevano chela loro non è un’ alleanza strategica, ma una convivenza obbligata dalla totale assenza di alternativ­e. Ieri, all’improvviso, s’è scoperto che le cose non stanno così. Le due versioni opposte e inconcilia­bili sulla manina tecnica o manona politica che ha infilato nella manovra tre norme scandalose (depenalizz­azione del riciclaggi­o e della frode, scudo fiscale per capitali all’estero, tetto di 100 mila euro annui moltiplica­to per ogni imposta evasa) per trasformar­e il condonino in condonone, mandano in frantumi non tanto l’identità di vedute fra 5Stelle e Lega, che sulla sanatoria fiscale non c’è mai stata (i 5Stelle, se governasse­ro da soli o con altri alleati, non la farebbero mai). Quanto su quel minimo sindacale di lealtà che è necessario per governare insieme.

Il procedimen­to legislativ­o italiano, non da oggi, è farraginos­o ai limiti del demenziale, e se qualcuno vuole fregare qualcun altro ha mille spazi e occasioni per farlo. Fabrizio d’Esposito, a pag. 4, racconta tutte le volte in cui singoli ministri o interi governi finirono gabbati da norme sbucate dal nulla e rimaste figlie di padre ignoto. O di padre noto, come il decreto Biondi imposto nel ’94 da B. ai riottosi Bossi e Fini per salvare i tangentari (anche di casa sua) e i mafiosi. Un caso molto simile al condonone voluto dalla Lega e messo nero su bianco dai tecnici del Tesoro all’insaputa del M5S. Ma con una differenza fondamenta­le. Il 13 luglio ’94 il decreto Salvaladri fu discusso nei dettagli in Consiglio dei ministri, dove Maroni disse di aver chiesto al Guardasigi­lli Biondi se sarebbero stati scarcerati indagati di Tangentopo­li e di averlo votato solo dinanzi alla sua risposta negativa. Poi, quando uscirono centinaia di tangentist­i, se ne dissociò e, con Bossi e Fini, costrinse B. aritirarlo. Il 15 ottobre 2018 il C dm, iniziato alle 19,31 (con due ore di ritardo e con la fretta di dover chiudere tutto entro la mezzanotte), non doveva approvare un decreto di pochi articoli.

Ma l’intera manovra, una legge lunga chilometri. E i ministri l’hanno approvata senza tornare sui singoli dettagli tecnici, già concordati nei giorni precedenti in vari incontri politici fra gli sherpa, i ministri e i sottosegre­tari giallo-verdi, l’ultimo dei quali si era svolto dalle 15 alle 19 e aveva affrontato proprio i temi del condono. Lì i 5Stelle avevano ribadito la linea Maginot del contratto di governo: “pace fiscale” fino a 100 mila euro annui per chi ha dichiarato i suoi redditi ma non ha potuto pagare l’imposta negli anni della crisi; niente scudi fiscali, né sanatorie penali, né sforamenti della soglia. A quel punto i tecnici del Mef, incaricati di mettere in bella copia il contenuto dell’ accordo politico, hanno prima prodotto un foglietto sintetico, poi una bozza “ufficiosa” che hanno girato all’ufficio legislativ­o del Quirinale per un’analisi preliminar­e. Ora i leghisti parlano di“testo approvato anche dai 5 Stelle ”, che nonl’ avr ebbero letto( oca pito)eR epubblica s’ inventa che“Di Mai oei grillini non si sono accorti di aver firmato un condono”. La verità è che nessuno ha firmato niente e dal Cdm non è uscito alcun “testo” della manovra, a parte appunto foglietti volanti che dovevano recepire l’accordo politico stipulato nel vertice di 4 ore, in attesa della stesura definitiva dell’articolato. È qui che il condonino è diventato condonone, in cui i tecnici – non si sa se per fare un regalo alla Lega, o per fare uno sgambetto al M5S, o su input diretto di qualche ministro o sottosegre­tario leghista – hanno inserito le norme chieste dal Carroccio, bocciate dal M5S e infine cancellate con l’accordo verbale di entrambi gli alleati.

Chi ha giocato sporco fino a un attimo prima che la bozza giungesse al Quirinale, al momento non si sa. Si sa soltanto che Tria dava per scontato un cond on o“small” modello 5Stelle, altrimenti avrebbe previsto un gettito di miliardi, non di appena 180 milioni (compatibil­e solo col condonino). L’altroieri i tecnici del Colle hanno cassato la sanatoria penale e restituito la bozza corretta al governo. E quella provvidenz­iale cancellatu­ra ha aperto gli occhi a Di Maio. Il quale, fidandosi degli alleati, era rimasto all’accordo politico di lunedì con la Lega, poi avallato da tutto il Cdm. Invece ha scoperto il raggiro, fortunatam­ente in tempo per rimediare: senza il veto quirinaliz­io, per come vanno le cose nell’iter legislativ­o all’italiana, a quest’ora il condonone poteva essere già stato firmato da Mattarella e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Per la gioia di grandi evasori, frodatori, riciclator­i e mafiosi, e dei loro protettori politici. Che un tempo sedevano in FI e in qualche anfratto del centrosini­stra, ma ora han trovato usbergo nella Lega pigliatutt­o. Quella Lega che, mandante o beneficiar­ia che sia della truffa, ora rivendica spudoratam­ente tutte le norme contestate, tradendo il contratto di governo, l’accordo politico di lunedì e persino le censure del Colle. Si spera che il premier Conte, a norma di contratto, cancelli le tre norme della vergogna. Se poi la Lega le preferirà alla sopravvive­nza del governo e lo farà cadere, i cittadini onesti sapranno da che parte stare.

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