Da B. a Prodi a Renzi: tutte le manine per le leggi impresentabili figlie di NN
Il decreto salvaladri di Biondi, il comma Fuda, il 3 per cento del Pd per aiutare l’ex Cav.
Ah, quante manine per tradurre in parole o percentuali magiche l’essenziale rimasto invisibile agli occhi. Storie di potere, storie di Sistema. Le manine pro- riciclaggio o pro-Croce Rossa hanno una tradizione antica nonché una prassi consolidata. Addirittura, ai tempi dell’ultimo governo Berlusconi, dal 2008 al 2011, divenne pratica comune la cosiddetta “strategia dei refusi”, come la chiamò all’epoca l’allora ministro del Lavoro Maurizio Sacconi. Nascosto perlopiù in un emendamento, il refuso doveva allargare soprattutto la platea dei condoni (corsi e ricorsi storici, per dirla stancamente alla Vico). Non solo. Nel Parlamento della Seconda Repubblica, quello dei “condonisti” è stato un partito forte e trasversale di peones.
IL REFUSO più famoso dell’era berlusconiana resta quello del giugno 2008: il Consiglio dei ministri mise all’ordine del giorno un decreto legge per imbavagliare le odiate intercettazioni. Il Colle intervenne (c’era Re Giorgio Napolitano) e B. scaricò su Gianni Letta, il premier ombra: è stato un refuso, dissero. Dl (decreto legge) al posto di ddl (disegno di legge). Come no.
L’origine del termine Era il 1990 e a Milano fu trovato il secondo memoriale di Moro: l’insinuazione di Craxi
Colpa di una “d” mancante. Del resto l’ex Cavaliere aveva dimostrato da subito la sua predilezione per manine e codicilli. Era la metà luglio del 1994 quando il primo governo di B. varò il decreto salvaladri per annientare le inchieste su Tangentopoli del pool milanese di Mani Pulite. L’esecutore fu il Guardasigilli Alfredo Biondi, antico liberale. Obiettivo: salvare dal carcere preventivo i colletti bianchi inquisiti. Il pool si ribella e il Paese scende in piazza. Dirà il leghista Roberto Maroni, ministro dell’Interno: “Mi hanno ingannato, imbrogliato, mi hanno fatto leggere un testo diverso da quello che poi mi hanno dato da firmare. Biondi mi aveva giurato che non sarebbero usciti i tangentisti, i De Lorenzo”.
L’ORIGINE politico-semantica della fatale “manina”, stavolta tra virgolette, è da ricondurre alla più grande tragedia repubblicana: il sequestro e l’omicidio dello statista dc Aldo Moro. Nel 1990 a Milano, nel covo brigatista di via Monte Nevoso, fu rinvenuto il me- moriale bis di Moro, dodici anni dopo il rapimento. Così il leader socialista Bettino Craxi s’interrogò sulla “manina” che ce l’aveva messo successivamente. Una manina che corrispondeva a quella di Giulio Andreotti, depositario dei misteri del Moro. Il Belzebù democristiano rispose sibillinamente: “È stata una manina o una manona”.
Accade poi che la manina, per tornare alle cronache parlamentari, agisca alla luce del sole. Nel 2006, il governo di Romano Prodi era alle prese con la sua prima legge finanziaria e l’indicibile si celò nel chilometrico maxiemendamento: un codicillo di tre righe per dimezzare la prescrizione per i reati contabili, cioè per le azioni di risarcimento del danno erariale davanti alla Corte dei Conti. Il comma 1346. Il primo firmatario fu un senatore trasformista calabrese: Pietro Fuda, esponente dell’allora partitino di Agazio Loiero, il Pdm, Partito democratico meridionale. Subito dopo, l’autografo di un senatore vicinissimo al leader della Margherita Francesco Rutelli: Luigi Zanda.
UN’ALTRA MANINA nota è quella di Matteo Renzi nel dicembre del 2014, nel pieno del Patto del Nazareno con Silvio Berlusconi. Renzi è premier e il suo governo si dà da fare con la delega fiscale. Nel decreto di attuazione spuntano cin- que righe inserite alla vigilia di Natale per favorire l’amico B.: un colpo di spugna clamoroso. Cioè: la non punibilità per gli evasori se le somme in nero non superano il 3 per cento del totale. In questo modo si cancellerebbe la condanna per frode fiscale di Berlusconi, con relativa decadenza, dell’anno precedente. Un paio di settimane dopo, a gennaio del 2015, Renzi rivendica la paternità delle cinque righe, dinanzi ai gruppi parlamentari: “La manina è mia”.
Nemmeno il governo Gentiloni è rimasto immune da questa prassi: nell’aprile del 2017 il Consiglio dei ministri approva il Codice degli appalti. Indi sparisce una norma dall’ultima versione: quella che concede pieni poteri all’Anac di Raffaele Cantone. L’ex pm chiede: “Chi è stato e perché ha agito di nascosto?”.