TAGLIO ALLE PENSIONI D’ORO, IO DICO NO
Si evoca Robin Hood, ma qui non è il ribelle che deruba i ricchi, il bottino è del sovrano
Il vicepremier Luigi Di Maio ha annunciato che il taglio alle pensioni cosiddette d’oro sarà attuato con immediatezza con apposito decreto governativo. Con il solito gergo nazional popolare ha dichiarato “ci facciamo un miliardo” che, detto così, suona molto ambiguo.
Si potrebbe pensare che alluda a soldi “risparmiati” da destinare ai poveri, ma questo non dovrebbe essere motivo di particolare trionfalismo. Tale “risparmio” comporta infatti costi sociali ed economici a breve e medio termine di gran lunga più elevati dei benefici immediati. Si sta colpendo una parte dei cittadini, si sottraggono risorse alla disponibilità fiscale, si demotiva il lavoro, si disincentiva la dirigenza e si crea una frattura insanabile all’inter- no della cittadinanza. Il miliardo (tutto da verificare) rappresenta lo 0,28 per cento della spesa pr evid enzi ale ( 345 miliardi), il 5,8 per cento del costo più benevolo del reddito di cittadinanza (17 miliardi) e lo 0,04 per cento del debito pubblico (2.341,7 miliardi). Un risultato non eccezionale per chi rifiuta la politica dello “zero virgola”. Ci sarebbero risparmi ben più sostanziosi se soltanto non si promuovesse l’evasione fiscale con vari condoni, scudi e scudetti, non si rinunciasse a riscuotere i crediti e si rendesse più efficiente la stessa spesa previdenziale, la spesa per la sanità, per l’istruzione, i trasporti, i lavori pubblici, la sicurezza, gli enti locali e tanti altri settori pub- blici. Ma tant’è, tutti i settori hanno dei padri- p adroni che non si possono disturbare nemmeno se i ponti crollano, le scuole vanno a pezzi, i malati rinunciano a curarsi e i missili giacciono nei depositi in attesa di essere sostituiti da altri più nuovi, costosi e inutilizzabili. Meglio tagliare le pensioni, anzi è questa la sola fascia che richiede un provvedimento di “urgenza”. Rimane solo da sperare che quanto sottratto alle pensioni vada veramente ai poveri. E che questi ne facciano buon uso per un salto di qualità della vita che non sia solo una possibilità di consumare di più ma di produrre qualcosa di più. Che comprendano che l’aiuto ricevuto è temporaneo e inventivante nei confronti di una stabile condizione di nobiltà: quella del lavoro. Si è parlato di Robin Hood e del suo sano principio di “rubare ai ricchi per dare ai poveri”. Il paragone non calza.
Robin Hood è un nobile che aspetta il suo re e che per far sopravvivere la sua banda diventa “il principe dei ladri”. Ruba agli usurpatori e protegge la nobiltà lealista e il popolo che lavora e combatte. Qui il ladro è il re che ruba ai suoi nobili e distribuisce la refurtiva ( ammesso che lo faccia) a non si sa chi, ma che comunque non combatte e non lavora. Una cosa è in comune: rubare. Sarebbe perciò bello che ogni pensionato vittima del furto potesse conoscerne uno qualsiasi dei beneficiari: per nome e cognome. Potrebbe verificare se è realmente povero, se veramente non ha alternative, se quanto gli viene dato in mano o con bancomat corrisponde alla equa ripartizione del bottino, se quanto riceve gli cambia la vita e le prospettive. Potrebbe fargli notare che quanto riceve è frutto di un furto e che quindi non può costituire un esempio da seguire nello stile di vita. Potrebbe dirgli che non deve nulla a chi gli ha consegnato parte della refurtiva.
Lui stesso nel momento in cui riceve la sua quota viene scippato della sua dignità; non riceve una proposta di lavoro, ma gli viene imposta una condizione di “sussidiato”. Dalla condizione di povertà si può uscire solo lavorando e comunque fornendo un servizio utile alla comunità. Quella di sussidiato può diventare una pretesa, un “diritto” che per essere conservato impone di non lavorare o farlo al nero. Una vera conquista sociale.
Sarebbe buona cosa che ciascuno dei ‘derubati’ conoscesse nome e situazione di chi avrà i benefici, per assicurarsi che almeno serva a qualcosa