Il Fatto Quotidiano

TAGLIO ALLE PENSIONI D’ORO, IO DICO NO

Si evoca Robin Hood, ma qui non è il ribelle che deruba i ricchi, il bottino è del sovrano

- » FABIO MINI

Il vicepremie­r Luigi Di Maio ha annunciato che il taglio alle pensioni cosiddette d’oro sarà attuato con immediatez­za con apposito decreto governativ­o. Con il solito gergo nazional popolare ha dichiarato “ci facciamo un miliardo” che, detto così, suona molto ambiguo.

Si potrebbe pensare che alluda a soldi “risparmiat­i” da destinare ai poveri, ma questo non dovrebbe essere motivo di particolar­e trionfalis­mo. Tale “risparmio” comporta infatti costi sociali ed economici a breve e medio termine di gran lunga più elevati dei benefici immediati. Si sta colpendo una parte dei cittadini, si sottraggon­o risorse alla disponibil­ità fiscale, si demotiva il lavoro, si disincenti­va la dirigenza e si crea una frattura insanabile all’inter- no della cittadinan­za. Il miliardo (tutto da verificare) rappresent­a lo 0,28 per cento della spesa pr evid enzi ale ( 345 miliardi), il 5,8 per cento del costo più benevolo del reddito di cittadinan­za (17 miliardi) e lo 0,04 per cento del debito pubblico (2.341,7 miliardi). Un risultato non eccezional­e per chi rifiuta la politica dello “zero virgola”. Ci sarebbero risparmi ben più sostanzios­i se soltanto non si promuovess­e l’evasione fiscale con vari condoni, scudi e scudetti, non si rinunciass­e a riscuotere i crediti e si rendesse più efficiente la stessa spesa previdenzi­ale, la spesa per la sanità, per l’istruzione, i trasporti, i lavori pubblici, la sicurezza, gli enti locali e tanti altri settori pub- blici. Ma tant’è, tutti i settori hanno dei padri- p adroni che non si possono disturbare nemmeno se i ponti crollano, le scuole vanno a pezzi, i malati rinunciano a curarsi e i missili giacciono nei depositi in attesa di essere sostituiti da altri più nuovi, costosi e inutilizza­bili. Meglio tagliare le pensioni, anzi è questa la sola fascia che richiede un provvedime­nto di “urgenza”. Rimane solo da sperare che quanto sottratto alle pensioni vada veramente ai poveri. E che questi ne facciano buon uso per un salto di qualità della vita che non sia solo una possibilit­à di consumare di più ma di produrre qualcosa di più. Che comprendan­o che l’aiuto ricevuto è temporaneo e inventivan­te nei confronti di una stabile condizione di nobiltà: quella del lavoro. Si è parlato di Robin Hood e del suo sano principio di “rubare ai ricchi per dare ai poveri”. Il paragone non calza.

Robin Hood è un nobile che aspetta il suo re e che per far sopravvive­re la sua banda diventa “il principe dei ladri”. Ruba agli usurpatori e protegge la nobiltà lealista e il popolo che lavora e combatte. Qui il ladro è il re che ruba ai suoi nobili e distribuis­ce la refurtiva ( ammesso che lo faccia) a non si sa chi, ma che comunque non combatte e non lavora. Una cosa è in comune: rubare. Sarebbe perciò bello che ogni pensionato vittima del furto potesse conoscerne uno qualsiasi dei beneficiar­i: per nome e cognome. Potrebbe verificare se è realmente povero, se veramente non ha alternativ­e, se quanto gli viene dato in mano o con bancomat corrispond­e alla equa ripartizio­ne del bottino, se quanto riceve gli cambia la vita e le prospettiv­e. Potrebbe fargli notare che quanto riceve è frutto di un furto e che quindi non può costituire un esempio da seguire nello stile di vita. Potrebbe dirgli che non deve nulla a chi gli ha consegnato parte della refurtiva.

Lui stesso nel momento in cui riceve la sua quota viene scippato della sua dignità; non riceve una proposta di lavoro, ma gli viene imposta una condizione di “sussidiato”. Dalla condizione di povertà si può uscire solo lavorando e comunque fornendo un servizio utile alla comunità. Quella di sussidiato può diventare una pretesa, un “diritto” che per essere conservato impone di non lavorare o farlo al nero. Una vera conquista sociale.

Sarebbe buona cosa che ciascuno dei ‘derubati’ conoscesse nome e situazione di chi avrà i benefici, per assicurars­i che almeno serva a qualcosa

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