La scuola delle lacrime salva-vita
GiapponeCorsi per imparare a piangere, sfogarsi e non compromettere la produttività
Tiepide lacrime rigano i volti, mentre sullo schermo scorrono le immagini di “silenzio dell'amore”, una pubblicità di una compagnia di assicurazioni tailandese. Lacrime calde per la storia di un gatto morto, molto amato dalla padrona. La catarsi poi è invogliata dal susseguirsi di canzoni tristi. Un ennesimo video genera lo scroscio di pianto della sala e la platea nipponica singhiozza. Il rito collettivo si chiama “rui-katsu ”, ricerca delle lacrime.
I giapponesi si danno appuntamento nei centri di salute mentale perché da soli non sanno piangere, ma per il benessere di se stessi e del Paese ora devono imparare.
Si ricorre alle lezioni di lacrime negli istituti e negli uffici pur di scongiurare lo squilibrio psicologico dell'arcipelago. “Scuole e società incoraggiano studenti ed impiegati a piangere per migliorare la loro salute mentale”, scrive il Japan Times. Alleviare lo stress, che danneggia la produttività, è imperativo dichiarato del governo di Tokyo.
È un controcanto statale per arginare l’insanità mentale da lavoro, in una nazione lastricata di workaholic, professionisti in escandescenze per straordinari e burnout.
DAL 2015 LE AUTORITÀ hanno introdotto un programma di stress-check obbligatorio per ogni azienda per l’emergenza da psicosi lavorativa e “karoshi ”, un termine che è in cima alle lista delle cause di decesso e statistiche sulla mortalità precoce dal 1987. Vuol dire “morte per troppo lavoro” e l’hotline governativa per prevenirlo è così intasata che di solito gli utenti digitano il numero 30 volte prima di parlare con un operatore.
Junko Umihara, professore della scuola medica nipponica, ora informa i connazionali che piangere “è un’autodifesa con- tro l’accumulo di tensione” e invoglia i cittadini a cercare un namida sensei, maestro di lacrime. Uno è Hidefumi Yoshida, che va in giro per società e scuole a spiegare, per 8mila yen a seduta, circa 60 euro, che piangere “è un atto più benefico del ridere o dormire” se si è stanchi. Sui contratti c’è scritto 8, ma i giapponesi lavorano almeno 12 ore al giorno.
Secondo l’ultima indagine governativa 2016, un quarto delle aziende costringe gli impiegati a lavorare, non retribuendoli, 80 ore in più del dovuto e almeno il 63% dei giapponesi non usa i giorni di ferie per senso di colpa. Il governo ora costringe i cittadini ad almeno 5 giorni di vacanza l'anno e obbliga le aziende ai “venerdì premio”: il lavoro finisce a metà giornata prima del- l'ultimo weekend del mese.
Una morte dopo l’altra nella patria dei karoshi. Dopo un ingegnere Toyota nel 2006, nel 2013 Miwa Sado, reporter della tv pubblica N hk ,è morta di infarto a 31 anni dopo 159 ore di straordinario. L’emittente ha riveduto le norme contrattuali e lo stesso ha dovuto fare l’agenzia di pubblicità Dentsu, quando una praticante – 24 anni e 105 ore di straordinario - è saltata dalla finestra dell’edificio della compagnia.
L’amministratore delegato ha dato le dimissioni e ora regola tassativa della Dentsu è spegnere le luci degli uffici alle 10 di sera. Anche chi non vuole, è obbligato a smettere di lavorare e tornare a casa.
Scuole e società incoraggiano studenti e impiegati a piangere per migliorare la salute mentale Autodifesa contro l’accumulo di tensione: è più benefico del ridere o dormire
JUNKO UMIHARA