I grandi del mondo via dal forum saudita Puniti gli agenti-killer
Quasi tutti i capi dei colossi industriali e finanziari invitati alla “Davos nel deserto” (forum economico del regno saudita) hanno preferito eclissarsi
Mentre la polizia turca cerca ancora i resti del giornalista saudita Jamal Khashoggi nei boschi attorno a Istambul, a Ryad la monarchia cerca di evitare che il secondo forum economico Future investment initiative, in programma da martedì 23 a giovedì 25, si trasformi in un completo flop. L’ufficio stampa del forum con la stampa è muto: nessuna lista dei partecipanti e nessuna conferma delle defezioni. A Ryad era atteso il gotha dell’economia e della finanza, ma gli speaker di maggior peso hanno dato forfait. Non ci sarà Steven Mnuchin, segretario al Tesoro Usa, né il direttore del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde, il ministro dell’Economia francese Bruno Le Mairee una serie di manager delle più grandi multinazionali del Pianeta, tra i quali Jean Pierre Mustier, ceo di Unicredit, unico leader di un gruppo italiano atteso (l’anno scorso aveva partecipato il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan).
L’AMMINISTRAZIONE USA, storico alleato del regno saudita, all’inizio aveva preso la questione Khashoggi con cautela. Ma ieri, di fronte alle proteste dell’opinione pubblica e infine all’ammissione di Ryad (che parla però di un incidente durante un interrogatorio), il presidente Donald Trump ha ventilato la possibilità di comminare sanzioni al Paese: “Salvando però gli accordi per la vendita di armi, che se messi in discussione metterebbero in difficoltà società e posti di lavoro americani”.
Le esportazioni statunitensi verso il regno dei Saud, nel 2017 sono ammontate a 25,5 miliardi di dollari, con Ryad che è il maggiore acquirente mondiale di armi Usa.
Meno riguardi hanno avuto le aziende, soprattutto quelle che non producono armi: la lista delle defezioni per ora comprende nomi comeJamie Damon, ceo di Jp Morgan, (prima banca Usa ) e Larry Fink, presidente e ceo di Black Rock, il maggior fondo di investimento mondiale per attivi gestiti, i ceo di altre multinazionali della finanza come Hscb, Softbank, Tpg Capital, Black Stone, Mufg bank (prima banca del Giappone) e la francese Bnp, oltre a Uber, Ford, Airbus e a colossi edito- riali come Cnn, New York Times, The Economist (Exor). Salvo Unicredit, nessuno tra i principali gruppi italiani figurava nel panel degli speaker; Leonardo, Fca, Eni, Enel, e Snam interpellati dal Fatto fanno sapere che comunque non sarebbero andate.
Quella saudita è una monarchia di stampo feudale, di religione wahabita (fazione ultra conservatrice dell’Islam sunnita), dove lo Stato è proprietà della famiglia Saud. Negli ultimi anni il regno sta cercando di emanciparsi dall’export di petrolio e rifarsi un'immagine. Nel 2016 il principe ereditario, Mohammed bin Salman, ha lanciato un programma di sviluppo, Saudi vision 2030. Comprende l’acquisto di partecipazioni estere (con i 2.500 miliardi di dollari dei fondi sovrani), la quotazione in Borsa della holding petrolifera Saudi Aramco e lo sviluppo di servizi ad alta tecnologia. Per i nuovi affari su scala globale, serve anche una reputazione di maggiore apertura e democrazia, che per ora è stata affidata soprattutto alle decine di milioni di dollari spesi in pubbliche relazioni e in iniziative come il forum economico, ribattezzato dalla stampa “la Davos del deserto”. L’uccisione di Khashoggi ha però dato un duro colpo alla propaganda.
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