Renzi perde il Pd e Minniti ma acquista un talk e Bonolis
La nuova creatura populista di Renzi: copia i Meetup grillini e li mescola con un format televisivo e berlusconiano. Non si parla di Pd, né di primarie
Accade pure, in questo strano tempo sovranista, che alle cinque della sera, Ivan Scalfarotto evochi lo Stato fascista, l’autoritarismo, il plebiscitarismo, le leggi razziali del 1938, gli sciamani e i santoni del nuovo oscurantismo.
Colpa, forse, anche del caldo eccezionale di questo ottobre. Alla Leopolda si soffoca e le zanzare festose colpiscono senza pietà, felici per questa estate infinita. La gente si gratta e Scalfarotto, dal palco pop della stazione, con la macchina di Ritorno al futuro alle spalle, si erge come il Pajetta del renzismo antifascista, il comandante “Nullo” del Terzo millennio. “O di qua, o di là”.“Per salvare la democrazia”.
L’altissimo compito del partigiano Scalfarotto è quello di formare comitati di azione civile. La nuova resistenza contro il populismo gialloverde fondato sulle fake news.
Cinque persone a comitato, possibilmente da reclutare oltre il Pd. Potenziali nuclei del partito renziano che verrà. Nel frattempo tocca esercitarsi contro Di Maio e Salvini e più si ascolta Scalfarotto più ci si convince che il modello dei comitati è mutuato dai Meetup grillini. Del resto lo sta facendo già Mélenchon in Francia. Il meccanismo è uguale: una persona forma un gruppo e tenta di coinvolgere familiari, affini, amici e conoscenti.
UNA RESISTENZA, allora, un po’ copiona, che ruba all’odiato nemico. Una resistenza farlocca e soprattutto populista. Sì, perché il populismo è un metodo – non una dottrina ideologica – che unisce il leader e la sua gente, senza mediazioni, a destra come a sinistra. E qui alla Leopolda ne esiste uno solo di Leader. Ovviamente Lui, “Matteo”. La creatura renziana mescola Meetup grillini e dosi massicce di berlusconismo televisivo. Il cosiddetto populismo dell’audience. Non a caso, il citato Scalfarotto parla di “scendere in campo”. Ecco perché la Leopolda numero nove passerà alla cronaca, non alla storia, come l’edizione che ha abolito la politica.
Renzi regala il palco a Paolo Bonolis, ma non a Marco Minniti, apparso in versione silente e ancora indeciso se candidarsi contro Nicola Zingaretti alle primarie del Pd. Anzi, più no che sì, al momento, per sua laconica ammissione. Un Bonolis dal pensiero politico molto conformista, viste le battute di queste ore sulla manina del decreto fiscale: “Di Maio e Salvini sono come Totò e Peppino”. Insomma, Paolo “Banalis”, che paragona la Leopolda a quel gran pezzo dell’Ubalda.
Il format Renzi & Bonolis non è solo uno spettacolo che lascia perplessi tantissimi spettatori. “Ma che c’entra Bonolis con noi?”. In realtà il popolare presentatore c’entra eccome con l’ex Rottamatore. I due fanno parte della potente scuderia di Lucio Presta, l’agente delle star tv, e lo show di ieri è studiato per piazzare il benedetto documentario di Renzi su Firenze, tuttora senza acquirenti.
Dopo vari rifiuti in Italia, il Presta renziano puntava su Berlusconi, ma secondo quanto risulta al Fatto, l’ex Cavaliere avrebbe bocciato il prodotto, previsto su Retequattro. Troppo esoso.
Nel secondo giorno della liturgia di questa chiesa renziana, viene confermato il boom di presenze. Mai come quest’anno. Oltre diecimila. È il fascino dei vinti, dell’epica sanguinosa di Salò. Altro che resistenza. Dice Eugenio, che viene da Castellammare di Stabia: “È la mia prima Leopolda, mi piace andare controcorrente ma vedo che qui c’è un fiume di gente, non me l’aspettavo”. Nella Repubblica personale di Renzi, la Guardia di Ferro è disseminata per i tavoli di discussione e il retropalco: Guerini, Carbone, Nobili, Tartaglione, Valente, Margiotta, Stefàno, Faraone, Fregolent, Pittella, Nardella, Gori, Romano, per fare dei nomi. Spicca il pargolo biondo del governatore campano Vincenzo De Luca. Si chiama Piero e fa il deputato. Al suo tavolo arringa i presenti con il sogno europeo di De Gasperi e Spinelli.
PIÙ IN LÀ C’Èfolla attorno a un amministratore calabrese della provincia di Vibo Valentia: “Ho subìto quattro attentati e il partito mi ha lasciato solo. E poi abbiamo il problema delle amministrazioni sciolte per mafia”. Il coordinatore del tavolo tenta di spezzare il monologo: “Fai delle proposte”. Il renzismo vive e tenta di rifarsi una verginità politica. Compresa Maria Elena Boschi, star che si dedica alle pari opportunità, acclamata a più riprese.
Uno dei propellenti di questa resistenza populista alla Renzi è l’odio contro il Fatto Quotidiano. Una signora s’avvicina gridando: “Non leggerò mai il Fattaccio, mi fate schifo”. Come scrisse Curzio Malaparte: “Non so quale sia più difficile, se il mestiere del vinto o quello del vincitore”. E questa è senza dubbio anche la Leopolda dei vinti. E chissà se le migliaia di persone accorse per passione apriranno gli occhi su questo nuovo Matteo Renzi, non più politico, ma conduttore tv in cerca di occupazione.
Novelli partigiani Scalfarotto “lancia” i comitati di azione civile: un po’ 5Stelle e un po’ Mélenchon