Il Fatto Quotidiano

Il taglio del rating rilancia l’ipotesi della patrimonia­le

Moody’s considera i risparmi delle famiglie a garanzia del debito pubblico

- STE. FEL.

“Le famiglie italiane hanno alti livelli di ricchezza, una protezione importante contro choc futuri e anche una rilevante fonte potenziale di finanziame­nto per il governo”. Quello dell’agenzia di rating Moody’s può sembrare un giudizio perfino lusinghier­o sui capitali privati che sorreggono la montagna del debito pubblico. Ma ha una sola traduzione politica: imposta patrimonia­le.

L’agenzia di rating ha tagliato il suo giudizio di affidabili­tà del debito pubblico italiano da Baa2 a Baa3, un gradino sopra il livello “spazzatura”. E se non si è spinta oltre è perché, come molti investitor­i, sa che il convento è povero ma i frati sono ricchi: il debito pubblico continua a rimanere elevato, pari al 130 per cento del Pil, ma le famiglie italiane sono ricche. E, questo il sottinteso politicame­nte esplosivo, in caso di necessità possono usare la propria ricchezza per rimborsare le passività dello Stato.

ALLA FINE DEL 2016, se c o nd o un’indagine della Banca d’Italia, le famiglie italiane avevano una ricchezza netta (sottratti i debiti dalle attività finanziari­e) di circa 206 mila euro, ancora alta ma inferiore ai 218 mila del 2014. È un valore medio, ma la distribuzi­one è molto diseguale: il valore mediano, quello sotto il quale si trova la metà esatta delle famiglie italiane, è 126 mila euro. Il 30 per cento più ricco delle famiglie ha il 75 per cento del patrimonio netto, cosa che equivale a una ricchezza media netta pari a 510 mila euro. Se poi guardiamo la parte più alta della piramide, cioè il 5 per cento più ricco, questo ha un patrimonio netto che in media è 1,3 milioni di euro per famiglia.

Il grosso di questa ricchezza – ben l’87 per cento – è fatto da “attività reali”, cioè immobili, aziende e oggetti di valore. Soprattutt­o la casa di residenza che vale in media 70 mila euro per il 10 per cento più povero delle famiglie e sale fino a 800 mila per il 10 per cento più ricco. Poi c’è la ricchezza finanziari­a. Siamo un popolo di risparmiat­ori, oltre l’84 per cento ha qualcosa da parte, in media è 33 mila euro a famiglia. E chi, oltre al conto corrente e ai depositi postali, ha investimen­ti veri e propri ha in media 87 mila euro in titoli di Stato, obbligazio­ni private, azioni e titoli esteri.

QUESTA RICCHEZZA privata è soltanto una garanzia teorica al debito pubblico. Perché si tratta, appunto, di proprietà private che non sono nelle disposizio­ni dello Stato. Il governo ha due leve per sfruttare questa garanzia. La prima, già in discussion­e, è quella di dare incentivi ai risparmiat­ori italiani per investire una parte maggiore dei loro risparmi nel debito pubblico. Ad agosto gli investitor­i stranieri hanno ridotto i propri investimen­ti in titoli di Stato italiani di 17,4 miliardi di euro, una tendenza iniziata a maggio che non sembra rallentare. Per questo il governo Conte studia i cosiddetti Cir, dei conti individual­i di risparmio per italiani che offrono condizioni agevolate rispetto ai normali Bot e Btp: niente tasse, invece che un prelievo del 12,5 per cento, e possibilit­à di scaricare l’investimen­to dalla dichiarazi­one dei redditi. Un sistema che permettere­bbe però di indebitars­i a costi inferiori, forse, ma non inciderebb­e sulla montagna di indebitame­nto esistente.

L’ALTERNATIV­A è quella classica: le tasse. O, nella versione anni Novanta, del prelievo dai conti correnti, che però colpisce la liquidità e non certo il patrimonio, o rivendendo le imposte sulla casa, come chiede da anni la Commission­e europea. Nel 2014 il governo Letta e poi quello Renzi hanno tolto l’Imu sulla prima casa – gettito annuale da 4 miliardi – anche ai contribuen­ti più ricchi. Perfino l’Economist invoca una vera tassa di succession­e, per colpire la ricchezza e redistribu­ire almeno tra generazion­i un po’di benessere. In Spagna i socialisti al governo hanno appena annunciato un accordo con l’alleato Podemos per aumentare dell’1 per cento l’imposta sui patrimoni superiori ai 10 milioni di euro.

Il governo Conte, per bocca del vicepremie­r Luigi Di Maio, per ora invece assicura: “Non è allo studio alcuna forma di imposta patrimonia­le”. Ma se la crisi di fiducia dei mercati nella sostenibil­ità del debito italiano dovesse continuare, potrebbe rivelarsi una scelta obbligata, come suggerito da Moody’s.

Gli italiani hanno alti livelli di ricchezza, una protezione contro choc futuri e anche una fonte potenziale di risorse per il governo

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LaPresse Pessimista L’agenzia di rating Moody’s ha declassato l’Italia per le scelte del governo sul bilancio

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