“Reintegrate i lavoratori”. L’azienda perde la prima causa sui licenziamenti del 2017
La giudice: Sky ha forzato le regole per cacciare solo i dipendenti di Roma
Se non ci fossero in ballo le vite di qualche centinaio di persone sarebbe quasi una storia divertente e persino col parziale lieto fine di una sentenza che restituisce il posto a tre lavoratori (e per cui pare festeggiare solo il sindacato di base Usb) complicando un po’ la vita a un’aziendona in fase di vorticose trasformazioni.
LA STORIA è questa. La multinazionale dei media nel 2017, mentre dichiara in Italia ricavi e utili in crescita, decide di licenziare circa 200 persone e trasferirne oltre 300 a Milano, quasi tutte da Roma: solo che non vorrebbe farlo una procedura collettiva coi sindacati, le leggi e altre rotture e allora consiglia caldamente, per così dire, ai suoi dipendenti di chiederlo loro il trasferimento, che non sia mai che uno poi finisce fra gli esuberi... Effettivamente il consiglio funziona: a Sky (parliamo di Sky) nel 2017 - previo accordo dei soli giornalisti con l’azienda e conseguente rottura del fronte sindacale - c’è un’epidemia di gente desiderosa di trasferirsi volontariamente in Lombardia. Alla fine, poi, arrivano gli esuberi e per quelli bisogna fare come dice la legge, in particolare la procedura per i licenziamenti collettivi prevista dal Jobs Act: la maggior parte si accorda e se ne va con qualche soldo in tasca, alcuni resistono. Pochi, però: un paio di dozzine di tecnici e 6 ( sei) giornalisti.
E qui la notizia. Il flipper impazzito del diritto del lavoro - terremotato dai governi degli ultimi due decenni, specialmente da Monti in poi - stavolta ha prodotto una cara vecchia sentenza di reintegro grazie al ricorso di tre lavoratori, i primi ad arrivare a sentenza dopo la ristrutturazione di Sky Italia.
La giudice di Roma Giovanna Palmieri ha messo nero su bianco nella sua ordinanza che la multinazionale (ora di Comcast) ha violato la legge con una procedura discriminatoria nello scegliere chi licenziare e chi salvare: in sostanza, pur avendo aperto una procedura che riguardava l’intero gruppo, Sky ha fatto in modo di cacciare solo i lavoratori di Roma (più facile e meno costoso che trasferirli) e lo ha fatto “forzando”, e di parecchio, i criteri stabiliti dalla legge.
IL MODO è semplice, persino un po’ ingenuo: il punteggio che decide la vita e la morte del dipendente è infatti il frutto di diverse variabili stabilite appunto dalla legge (anzianità di servizio, familiari a carico, eccetera), ebbene secondo Sky essere in carico alla sede di Milano valeva come un’anzianità di servizio di quasi tre decenni o cinque carichi familiari, essere a Roma “zero”. E chi aveva già detto sì al passaggio da Roma a Milano? Semplice: è scomparso dalle graduatorie.
Sveglia!
Il legale Guglielmi: “Sarebbe bello che questa sentenza fosse un segnale: le battaglie vanno combattute”
La giudice Palmieri non ha potuto che prendere atto della discriminazione, in linea con un paio di sentenze della Cassazione, una recentissima: reintegro e diritto agli stipendi arretrati, dunque. Visti i numeri dei ricorrenti, non un grosso problema per Sky anche se dovesse perderli tutti, ma l’ennesima battuta d’arre- sto per un’azienda in crisi psicologica tra manager che se ne vanno (e se ne andranno), il cambio di proprietà e la prospettiva di ulteriori tagli.
“Sarebbe bello se questa sentenza fosse anche un segnale”, dice Carlo Guglielmi, il giuslavorista che - insieme a Pier Luigi Panici - ha difeso i tre lavoratori Sky: “Sarebbe bello, visto che in ballo ci sono altri ricorsi, altre vite, che si capisse che forse le battaglie è comunque meglio combatterle, anche quelle che sembrano perse. Mi piacerebbe che con questa sentenza qualcuno si svegliasse e parlo dei sindacati confederali e della Federazione nazionale della stampa: si rendano conto che qualcuno che resiste ancora c’è e magari va aiutato e difeso”.
IL LIETO FINE è, diciamo, temporaneo: Sky ha 30 giorni per fare opposizione e moltissimi mezzi per far sentire i tre “reintegrandi” ospiti indesiderati. È però sempre una piacevole scoperta scoprire che le esigenze del mercato e degli utili trovano ancora - ogni tanto, per qualche tempo - un argine nelle leggi della Repubblica fondata sul lavoro.