Tria scrive alla Ue: una manovra a fisarmonica anti-bocciatura
La strategia Il governo conferma il deficit che oggi Bruxelles boccerà Intanto prova a rassicurare i mercati: “Verifiche sulla spesa, sarà più bassa...”
Nessun dietrofront sulla manovra. Il governo non si adeguerà alle richieste di Bruxelles: il prossimo anno il deficit pubblico verrà alzato al 2,4% del Pil. La conferma è arrivata ieri dalla lettera inviata dal ministro dell’Economia Giovanni Tria al vicepresidente della Commissione, Valdis Dombrovskis e al commissario Pierre Moscovici. Sarà esaminata oggi dai commissari europei che, sempre in giornata, dovrebbero bocciarla con la richiesta di correggere il deficit. È per questo che il governo ha iniziato una strategia volta almeno a rassicurare i mercati presentando la manovra, per così dire, come un provvedimento a fisarmonica. Il messaggio è che le spese messe per le varie misure, dal reddito di cittadinanza alla riforma della Fornero, si riveleranno alla fine meno ingenti del previsto. E se le cose dovessero andare storte, si ridurranno in automatico.
IERI TRIA ha risposto ai rilievi avanzati da Bruxelles il 18 ottobre (“deviazione senza precedenti” dagli obiettivi di riduzione del deficit)”. La vicenda è nota: il rapporto tra deficit e Pil che avrebbe permesso di evitare la bocciatura era quell’1,6 per cento assicurato a Tria ma bocciato dal Lega e Cinque Stelle per far partire parte delle promesse del “contratto” di governo e rilanciare la crescita stracciando il fiscal compact che impone di ridurre il deficit verso il pareggio di bilancio. Il governo italiano “è cosciente di aver scelto un’impostazione di bilancio non in linea” con le norme Ue – scrive Tria – e ha preso questa “decisione difficile ma necessaria alla luce del persistente ritardo nel recupero dei livelli di Pil pre-crisi e delle drammatiche condizioni economiche in cui si trovano gli strati più svantaggiati della società italiana”. L’obiettivo è di evitare una nuova stretta fiscale mentre l’economia dà segni di forte rallentamento. Per centrare l’obiettivo di crescita del Pil all’1,5% il prossimo anno – che Bruxelles, ma anche l’Ufficio parlamentare di bilancio considerano ottimistico – Tria spiega che il governo punta sugli stanziamenti aggiuntivi e lo sblocco delle procedure per gli investimenti pubblici (15 miliardi nel triennio), garantendo il calo del debito/Pil “maggiore di quanto sperimentato nell’ultimo decennio”. La palla passa a Bruxelles, ed è inevitabile la bocciatura. L’Ue chiederà di modificare il progetto per rispettare gli impegni di riduzione del deficit assicurati dal gover- no Conte a fine giugno. Sarebbe la prima volta che la Commissione decide un atto del genere verso uno Stato membro. Il governo avrà tre settimane per reagire: se farà finta di nulla rischia una procedura per deficit eccessivo per il mancato rispetto della regola di riduzione del debito nel 2017 (per il 2018 se ne riparla in primavera). Finora nessuna procedura è mai arrivata alle sanzioni (lo 0,5% del Pil), e infatti più che a Bruxelles il governo guarda ai mercati dopo il declassamento di Moody’s (una tacca sopra il grado “non investimento”). Venerdì è atteso il giudizio di Standard & Poor’s: scontato il cambio dell’outlook da stabile a negativo, ma potrebbe anche arrivare un nuovo declassamento. Ieri Tria ha ribadito che qualora il debito/Pil non dovesse ridursi o il deficit aumentare più del previsto “il governo si impegna a intervenire con le necessarie misure”. Sono i famosi tagli automatici alla spesa (che rischiano però di aggravare gli effetti recessivi in una fase di rallentamento d el l’Economia). Secondo il collega agli Affari europei, Paolo Savona, la verifica potrà avvenire trimestralmente. Stessa linea del premier Giuseppe Conte (“se non ci sarà crescita, ridurremo le spese”), che ieri – incontrando la stampa estera – è andato oltre: “Il 2,4% è il tetto massimo. Siamo disponibili a valutare un contenimento nel corso di attuazione della manovra”.
INSOMMA resta la cornice ma i contenuti potrebbero ridimensionarsi in corso d’opera. Come? La riforma della Fornero con “quota 100”, per dire, comporterà un taglio degli assegni per chi sceglierà l’uscita anticipata che variano dal 5 al 15%. Per questo la Lega ammette ormai che la platea dei 400 mila destinatari potrebbe ridursi e, dei 7 miliardi preventivati, 2 potrebbero essere risparmiati. Per farla partire, peraltro, serviranno mesi, come per il reddito di cittadinanza (8 miliardi) e questo riduce nel 2019 il costo preventivato. In audizione alle Camere, Tria ha presentato le misure sulle pensioni (quelle a minor impatto sulla crescita) come “una finestra temporanea” e “in parte sperimentali”: in base agli effetti “si vedrà come continuare in quale forma e in quale misura”. La stessa Moody’s, confermando l’outlook stabile ha spiegato che la riforma delle pensioni “è apparentemente intesa” come “una tantum” nel solo 2019. La strategia è chiara: a Bruxelles interessa la cornice, ma al mercato i contenuti. Ieri lo ha chiuso sopra i 300 punti al termine di una giornata di forti alti e bassi. Oscilla ormai a ogni dichiarazione pubblica.
I timori Venerdì il giudizio di Standard & Poor’s Le misure presentate come temporanee