Quando volevano riformare la diffamazione
Il caso Sallusti, i tentativi di abolire il carcere (raro), il nodo delle sanzioni pecuniarie
Tante
promesse e prese di posizione. Dalla politica italiana alle organizzazioni internazionali. Ma poi nulla di fatto. Dopo le elezioni del 4 marzo, per esempio, c’è stato anche un appello dell’Osce per chiedere una riforma della legge sulla diffamazione a mezzo stampa. Tra la possibilità di finire in carcere e le richieste di risarcimento danni a scopo intimidatorio, infatti, secondo l’Or gan iz zaz io ne per la sicurezza e la cooperazione in Europa la vita dei giornalisti in Italia è assai ardua tanto da mettere a rischio la libertà di stampa. Ma la politica finora non è riuscita a fare nulla.
DAL PUNTO di vista legislativo siamo fermi al 1948, data dell’approvazione della legge sulla stampa che, sulla diffamazione, si rifà al Codice Roc- co, ovvero all’articolo 595 del codice penale che, in caso di diffamazione, prevede la reclusione a uno a sei anni. Il caso più eclatante degli ultimi tempi è stata la condanna, nel 2012, di Alessandro Sallusti a 14 mesi di reclusione per diffamazione aggravata. Il direttore del Giornale rifiutò le pene alternative e venne condotto ai domiciliari. La questione durò qualche settimana, poi Giorgio Napolitano commutò la pena in sanzione pecuniaria. Ma quel caso fece riesplodere la discussione sulla legge da cambiare. Da destra a sinistra. “Occorre una serie riflessione, mai più carcere per i giornalisti”, disse allora Silvio Berlusconi. “Non si può finire in carcere per un articolo”, affermò Pierluigi Bersani, a quel tempo leader del Pd.
Ma non c’è solo il carcere. Negli ultimi anni sono aumentate in maniera esponenziale le querele temerarie: chi si sente diffamato non querela per via penale, ma agisce in sede civile con una richiesta di risarcimento danni. Risarcimenti talmente onerosi per piccoli giornali o tv e singoli giornalisti che spesso la querela è utilizzata in maniera intimidatoria, come minaccia, per non far uscire una notizia o non far scrivere un articolo. Altro problema è il pagamen- to delle spese legali per querele che un giornale non può più sostenere perché nel frattempo ha chiuso o è fallito. Questione che negli ultimi tempi ha riguardato, per esempio, l’ex direttrice Conchita De Gregorio. Con casi di giornalisti che si sono visti pignorare la casa o parte dello stipendio.
DOPO IL CASO SALLUSTI, però, accade poco o nulla. Nel 2013 viene presentata una riforma che però, dopo un rimpallo tra Camera e Senato, non riesce a vedere la luce per mancanza di volontà politica, nonostante fosse sostenuta, sulla carta, da un’ampia maggioranza. “Il problema è che ognuno voleva metterci qualcosa, chi il diritto all’oblio, chi equiparare totalmente il web, compresi i blog, alle testate registrate. Così il testo si è appesantito e si è perso tempo prezioso”, racconta l’ex mini- stro Costa, primo firmatario. In realtà anche l’aumento delle sanzioni per le liti temerarie non godeva del consenso unanime dei parlamentari. Ora il cuore di quel ddl è stato ripresentato con una nuova legge a firma Walter Verini (Pd).“Togliere il carcere e aumentare le sanzioni in maniera propor- zionale alla richiesta del risarcimento in caso di querela temeraria, come ha chiesto la Corte di giustizia europea, sarebbe già un bel passo in avanti”, chiosa il segretario della Fnsi, Raffaele Lorusso. La legislatura è appena cominciata e il tempo ci sarebbe.