Calenda, il futuro del Pd. A insaputa degli elettori
Come ha raccontato sabato su queste pagine l’eversivo Antonio Padellaro, la crisi di governo ha spaventato anzitutto la (presunta) opposizione. In effetti, se si tornasse in fretta al voto, i primi a rimetterci sarebbero proprio Forza Italia e Pd. Quest’ultimo, deflagrato in mille pezzettini come una mina minore esplosa male, è terrorizzato dall’ipotesi di voto anticipato. Hanno paura tutti. Tranne uno: l’eroe, il mito, il guevarista Carlo Calenda. Questo bell’omettino, con le sue fattezze allegre da ottantenne che ha dichiarato guerra a un’anagrafe che si ostina a volerlo troppo giovane, è da tempo un noto idolo delle masse. A insaputa delle masse, s’intende. I sondaggi dedicati a niente, cioè al futuro del Pd, dicono che undici italiani su cento puntano su Gentiloni. Nove su Zingaretti. Tre su Boccia. Uno su Richetti. Calenda sta a cinque, ex aequo con Renzi (impegnato lo scorso weekend a sfasciare quel poco che resta del partito) e Minniti.
Più di sessanta italiani su cento credono invece che il futuro del Pd non possa – né debba – coincidere con nessuno dei nomi sin qui fatti. Eppure Calenda va avanti, con l’autostima a caso di chi si lancia nel crepaccio convinto che sotto ci sia una piscina. Tivù e stampa ci mettono del loro, perché ogni volta che nel Pd c’è crisi (quindi sempre), interpellano Calenda per avere la ricetta su come uscire dalla risacca. Che sarebbe un po’ come chiedere a Valerio Scanu come uscire dalla crisi del rock, magari chiedendogli già che c’è una cover a cappella di Whole Lotta Love. Bei momenti.
GIORNI FA CALENDA era a Un giorno da pecora su RadioUno: è stato simpatico, come a volte gli capita. Ha ammesso di non avere un carattere facile. Ha detto che non è il nuovo Macron, anche perché “Macron mi sta antipaticissimo”, e qui qualcuno avrebbe forse dovuto fargli notare che la differenza tra i due è che il primo ha (o aveva) il plauso dell’elettorato mentre il secondo ce l’ha al massimo di Nicola Porro. Ha raccontato che, dopo aver preso la tessera del Pd, la moglie per una settimana non gli ha rivolto parola: saggia donna. Calenda ha poi svelato un passato burrascoso: “Al liceo Mamiani ho avuto prima due materie, poi quattro e poi sono stato bocciato in prima liceo. Contemporaneamente ho avuto una figlia e sono stato buttato fuori di casa. Mia madre la prese talmente bene che cambiò la serratura di casa e per un po’ andai da mia nonna”. Attore bambino nel Cuore di Comencini, a quel periodo ripensa così: “Ho un ricordo fantastico di quell’esperienza. Ammetto di essere stato innamoratissimo di Giuliana De Sio all’epoca, anche se avevo solo dieci anni. Non mi sono dichiarato ma almeno c’era una scena in cui le davo un bacio sulla guancia”. Calenda ha quindi svelato l’aneddoto più gustoso: “Il tatuaggio sul braccio? L’ho fatto il giorno prima di sposarmi. Ero totalmente ubriaco e mi ricordo solo pochissimi dettagli. Teoricamente sarebbe uno squalo, ma siccome sono ingrassato ora pare un tonno”. Evidentemente la saga cinematografica Una notte da leoni si ispira a Calenda. Il quale, tra una battuta e l’altra, parla ancora di un “Fronte repubblicano contro sovranisti e populisti”. Con lui leader. E il bello è che è pure serio.
In effetti, là fuori, le masse già spingono e scalpitano: non vedono l’ora di fare la Resistenza – e magari pure la Rivoluzione – guidate da questo strano incrocio tra un Barca meno preparato e un Renzi meno antipatico, interpretato chissà perché da un Renato Pozzetto che parla in romanesco. Daje Carletto!