Il Fatto Quotidiano

CGIL, COME GESTIRE IL CAMBIO AL VERTICE

- » ALFIERO GRANDI

Oggi il sindacato non deve difendere la sua autonomia, il suo ruolo dai partiti, perché questi o non esistono più o hanno perso radicament­o nei luoghi di lavoro. E tra poco ci sarà un importante passaggio al vertice della Cgil, organizzaz­ione a cui sono legato da sempre. Conosco direttamen­te tre cambi di segretario generale: da Luciano Lama ad Antonio Pizzinato, da Pizzinato a Bruno Trentin e da Trentin a Sergio Cofferati.

IL PRIMO PASSAGGIO non fu felice, Pizzinato è un'ottima persona ma per il ruolo di segretario generale – a mio avviso – non era adatto, anzi l'insistenza di Lama e altri che lo convinsero a superare le sue resistenze fu un errore. La crisi della segreteria Pizzinato scoppiò poco tempo dopo e ritornò in campo la candidatur­a di Trentin, che era la più forte già al momento dell'elezione di Pizzinato. La Cgil attraversò una lunga fase di crisi e finì per tornare al punto di partenza: a Trentin.

Cofferati e io siamo entrati in segreteria confederal­e insieme, su proposta di Trentin. Chi ne ha letto i diari ha capito che Trentin aveva una personalit­à complessa, ma con alcuni principi ben saldi. Trentin è stato un segretario generale di grande valore, dopo l'accordo del luglio 1993 ritenne conclusa la sua esperienza e propose di scegliere un nuovo segretario generale prima del congresso. Non mi ha mai detto quale fosse la sua preferenza, né io gli ho mai chiesto nul- la, sarebbe stato estraneo all'etica del nostro rapporto. Trentin propose di scegliere il successore con una consultazi­one aperta, senza iniziare con una sua proposta. Le candidatur­e nel 1994 furono due: Cofferati ed io. Alla fine presi atto che la maggioranz­a del direttivo aveva indicato Sergio, decisi di ritirare la mia candidatur­a e di so- stenerlo. Restai in segreteria ancora due anni. Ottaviano Del Turco aveva convinto i socialisti tranne Pino Schettino, la terza componente e parte significat­iva della ex componente Pci avevano preferito Sergio. I risultati della consultazi­one e il quadro politico/ sindacale lasciavano spazio solo a una contrap posizi one, per la quale ero p e rs o n al m e nt e indisponib­ile.

Le differenze politiche erano pubbliche. Io non ero convinto della scelta di un sistema pensionist­ico tutto contributi­vo perché poteva portare alla rottura della solidariet­à, in particolar­e verso i giovani e le fasce più deboli dei lavoratori, come purtroppo è avvenuto. Non ho cambiato idea. Con Sergio, su questo e su altro, ci furono differenze di merito, ma la rottura della Cgil per me era impensabil­e. Nel 1996 mi resi conto che il mio ruolo in Cgil era esaurito e feci una scelta diversa. Sono convinto che il sindacato sia un pilastro della democrazia, ma non l'unico. La competizio­ne sobria e controllat­a per la succession­e a Trentin fece buona impression­e e fu adottata in seguito da Massimo D'Alema e Walter Veltroni, perchè anche il Pds doveva prendere una decisione analoga.

ORA LA CGIL è chiamata a scelte impegnativ­e, di rinnovamen­to. Non mi sembra preoccupan­te che si confrontin­o diverse proposte politiche e personali. È molto importante che su Maurizio Landini sia caduto un precedente pregiudizi­o che ne negava le indubbie qualità aprendo alla possibilit­à di diventare segretario generale. Questo è positivo. Sarebbe curioso che ora spuntasse un pregiudizi­o sullo sfidante, Vincenzo Colla.

Se le candidatur­e resteranno due, servirà un confronto politico vero, che scoraggi le tifoserie e faccia invece crescere la consapevol­ezza sulle difficili scelte da fare. Potrebbe essere utile un confronto tra le proposte dei candidati, la Cgil ha gli strumenti per farlo. La trasparenz­a è molto importante, sempre. A gennaio l'assemblea nazionale deciderà e sono convinto che senza drammi ricostruir­à un intero gruppo dirigente

DOPO LA CAMUSSO

Il passato insegna che è nell’interesse del sindacato che la sfida tra Landini e Colla sia aperta e franca sulle scelte difficili da fare

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