BROKEN POLITICS La matura Neneh non rinuncia alla politica
Un album cantautorale con temi come aborto e razzismo e tanta nostalgia “trip hop”
In Fallen Leaves, brano che apre il nuovo album di Neneh Cherry, il cantato ricorda singolarmente quello di Joni Mitchell. Suggestione accentuata ancora di più dalla spoglia struttura voce e piano di Synchronized Devotion. Una fugace impressione, niente di più: troppo distanti per storia, attitudine e contesto musicale le due figure. Eppure il carisma e l’eleganza sono simili.
BROKEN POLITICS non è formalmente quello che si definirebbe un disco cantautorale, ma in qualche modo rientra nel canone. Un lavoro fatto di canzoni dense e riflessive, che non rifuggono dall’offrire una prospettiva sul mondo e che come si sarebbe detto in altri tempi “partecipa al discorso”. In Kong, su uno spesso tappeto ritmico che rimanda ai giorni del trip hop (tra gli ospiti c’è il vecchio amico Robert “3D” Del Naja), la Cherry racconta la sua esperienza di volontariato in un campo profughi di Calais; in Deep Vein Thrombosis si affronta il tema del decadimento fisico e del corpo che tradisce; in Shot Gun Shack il beat lento sostiene una netta presa di posizione contro la proliferazione delle armi. E poi ancora, tra gli argomenti: aborto, invecchiamento, razzismo, disorientamento e una irrefrenabile voglia di speranza nonostante tutto.
La venticinquenne che alla fine degli anni 80 cantava Bu ff al o Stance( un classico immarcescibile del r’n’b/hip hop) è diventata una donna e una musicista matura che tuttavia non rinuncia a porre questioni, sul ritmo di quella “politics of dancing” a cui è sempre rimasta fedele anche se oggi forse in via più metaforica. Così come è rimasta legata alla pratica del lavoro collettivo, come ai vecchi tempi del Wild Bunch di Bristol: Broken Politics nasce dalla simbiosi con l’alter ego artistico e sentimentale di sempre, Cameron McVey, e dal punto di vista sonoro poggia sulle intuizioni magnifiche del produttore Kieran Hebden alias Four Tet, che rispetto al precedente e glaciale Blank Project costruisce intorno alla voce di Neneh un ambiente più “organico” e avvolgente.
Disco splendido, da ascoltare – appunto – con tutta la synchronized devotion possibile.