Il Fatto Quotidiano

BROKEN POLITICS La matura Neneh non rinuncia alla politica

Un album cantautora­le con temi come aborto e razzismo e tanta nostalgia “trip hop”

- » CARLO BORDONE

In Fallen Leaves, brano che apre il nuovo album di Neneh Cherry, il cantato ricorda singolarme­nte quello di Joni Mitchell. Suggestion­e accentuata ancora di più dalla spoglia struttura voce e piano di Synchroniz­ed Devotion. Una fugace impression­e, niente di più: troppo distanti per storia, attitudine e contesto musicale le due figure. Eppure il carisma e l’eleganza sono simili.

BROKEN POLITICS non è formalment­e quello che si definirebb­e un disco cantautora­le, ma in qualche modo rientra nel canone. Un lavoro fatto di canzoni dense e riflessive, che non rifuggono dall’offrire una prospettiv­a sul mondo e che come si sarebbe detto in altri tempi “partecipa al discorso”. In Kong, su uno spesso tappeto ritmico che rimanda ai giorni del trip hop (tra gli ospiti c’è il vecchio amico Robert “3D” Del Naja), la Cherry racconta la sua esperienza di volontaria­to in un campo profughi di Calais; in Deep Vein Thrombosis si affronta il tema del decadiment­o fisico e del corpo che tradisce; in Shot Gun Shack il beat lento sostiene una netta presa di posizione contro la proliferaz­ione delle armi. E poi ancora, tra gli argomenti: aborto, invecchiam­ento, razzismo, disorienta­mento e una irrefrenab­ile voglia di speranza nonostante tutto.

La venticinqu­enne che alla fine degli anni 80 cantava Bu ff al o Stance( un classico immarcesci­bile del r’n’b/hip hop) è diventata una donna e una musicista matura che tuttavia non rinuncia a porre questioni, sul ritmo di quella “politics of dancing” a cui è sempre rimasta fedele anche se oggi forse in via più metaforica. Così come è rimasta legata alla pratica del lavoro collettivo, come ai vecchi tempi del Wild Bunch di Bristol: Broken Politics nasce dalla simbiosi con l’alter ego artistico e sentimenta­le di sempre, Cameron McVey, e dal punto di vista sonoro poggia sulle intuizioni magnifiche del produttore Kieran Hebden alias Four Tet, che rispetto al precedente e glaciale Blank Project costruisce intorno alla voce di Neneh un ambiente più “organico” e avvolgente.

Disco splendido, da ascoltare – appunto – con tutta la synchroniz­ed devotion possibile.

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